Qua da noi, in Italia, abbiamo un detto: “morto un papa se ne fa un altro”. E’ uno di quei detti un po’ nihilisti per dire che non cambierà mai nulla, che le cose si succederanno, che le persone cambieranno senza che nulla cambi veramente.
Il papa qui da noi, è una presenza costante, che si creda o no. L’ultimo Concordato, di fascista memoria ma che nessuno ha mai osato modificare o cancellare, sancisce che quel che succede al di là del Tevere influenza il Bel Paese.
Ora l’annuncio di Benedetto XVI ha rovinato buona parte delle nostre credenze: che morto un papa se ne fa un altro; cioè che bisogna che muoia, non si può ritirare in monastero.
Abbiamo passato, oggi, una giornata movimentata ed ascoltato le opinioni più disparate, le dietrologie più arzigogolate, le affermazioni di solidarietà più inaspettate.
Ci è parso che sia crollato un mito, un mito che, con la sua infinita capacità “cinematografica”, il precedente papa aveva incarnato fino all’ultimo giorno. L’immagine del papa stanco che si appoggia al bastone, l’immagine del volto sofferente, solcato dal dolore…
Ecco, forse oggi questo mito è crollato o ha subito un colpo grande. Il mito che i grandi saggi sono tali perché a lungo hanno sofferto e nella sofferenza hanno raggiunto l’illuminazione.
Noi non l’abbiamo mai pensata così.
Già nel suo primo discorso del 1969 Silo conclude dicendo: “Fratello mio, là nella storia c’è l’essere umano che mostra il volto della sofferenza: guarda quel volto pieno di sofferenza… ma ricorda che è necessario andare avanti, che è necessario imparare a ridere e che è necessario imparare ad amare.
A te, fratello mio, lancio questa speranza; questa speranza di gioia, questa speranza di amore affinché tu elevi il tuo cuore ed elevi il tuo spirito, ed affinché non dimentichi di elevare il tuo corpo.”
Mentre nel 1981 dirà:
“Se il motore della storia è la ribellione contro la morte, ribellati, ora, contro la frustrazione e la vendetta. Smetti, per la prima volta nella storia, di cercare colpevoli. Tutti sono responsabili di ciò che hanno fatto, ma nessuno è colpevole di quanto è successo. Chissà che non si possa dichiarare, in questo giudizio universale: “non ci sono colpevoli” e si stabilisca per ogni essere umano l’obbligo morale di riconciliarsi con il proprio passato. Questo comincerà in te, qui ed ora, e tu avrai la responsabilità di farlo continuare fra coloro che ti circondano, fino ad arrivare all’ultimo angolo della terra.”
No, siamo decisamente molto lontani dalla valorizzazione della sofferenza e della colpa, i due sentimenti che serpeggiano nei commenti inerenti la decisione di Benedetto XVI.
Siamo lontani e vorremmo dire con forza che amiamo tutti i mistici, di tutte le latitudini, appartenenti o meno a una religione, che manifestano la loro spiritualità a favore dell’Essere Umano; e che mettono questa tremenda forza, la fede, al servizio della Pace, della Giustizia e del Progresso sociale e mentale.
Conosciamo queste persone e, quando le incrociamo, vediamo nei loro occhi “danzare verso il futuro i piedi leggeri dell’allegria”. E vogliamo bene a questi instancabili costruttori della speranza.
Il Papa, la sofferenza, la speranza
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