Un pomeriggio intenso e commovente alla Sala Vitmar dell’Acquario Civico di Milano per i partecipanti all’iniziativa “Identità ritrovate” sui bambini (ormai adulti) rubati alle famiglie durante la dittatura argentina.
Dopo una breve presentazione di Flavia Famà di Libera, tra gli organizzatori dell’evento insieme ad Amnesty International ed altre associazioni, prende la parola Basilio Rizzo, presidente del Consiglio Comunale di Milano, che testimonia l’attenzione dell’amministrazione guidata da Giuliano Pisapia per la lotta alle ingiustizie in ogni parte del mondo.
L’ex magistrato Giuliano Turone illustra in modo incisivo e documentato i legami tra la Loggia P2 di Licio Gelli e i militari golpisti argentini, particolarmente stretti e inquietanti tra il 1976 e il 1981. Si scopre così che Gelli ha partecipato a una riunione per preparare il golpe del 24 marzo 1976 e scritto poi una lettera di congratulazioni perché “tutto si è svolto secondo i piani prestabiliti”. Il controllo del Corriere della Sera da parte della P2 contribuisce a nascondere all’opinione pubblica le atroci violazioni dei diritti umani compiute in quegli anni in Argentina. I buoni rapporti tra i vari governi Andreotti e la giunta militare traspaiono nel rifiuto di aiutare chi tenta di rifugiarsi nell’ambasciata italiana a Buenos Aires, nell’inerzia davanti ai tanti italiani rapiti e uccisi e culminano nel 1978 nella visita di Videla a Roma. Un capitolo scandaloso, su cui ha gettato luce la scoperta della documentazione sulla P2, denunciato con forza da Tina Anselmi e dall’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini.
Marcello Gentili, avvocato delle Abuelas de Plaza de Mayo, parla con commossa ammirazione dell’equilibrio e della forza di Estela Carlotto, presidente dell’associazione e sottolinea l’enorme valore ed efficacia delle azioni nonviolente portate avanti da queste donne coraggiose in situazioni così tragiche.
Si passa poi alla visione del film del 2011 Verdades Verdaderas – La vida de Estela, diretto dal giovane regista argentino Nicolas Gil Lavedra. La vicenda drammatica dei giovani torturati e uccisi, delle donne fatte partorire e poi eliminate, dei bambini sottratti a genitori e nonni per essere affidati a famiglie vicine ai militari e della lotta tenace e coraggiosa di chi li cerca coinvolge e commuove, acquistando un carattere di verità e “vita vissuta” che rende ancora più sconvolgente tutto quello che si è ascoltato in precedenza sull’Argentina di quegli anni bui.
Estela e Guido Carlotto non sono attivisti. Sono genitori come tanti e osservano con un misto di apprensione e solidarietà l’impegno politico della figlia Laura, ma la sua scomparsa li trasforma. La chiave del film è proprio in questo ritratto di una famiglia comune, con il giardinetto davanti a casa, lo steccato un po’ storto, il lavoro di maestra e il negozio di vernici, travolta, ma non piegata, dalla crudeltà di un regime militare che “fa quello che deve fare per arginare i sovversivi”. Guido viene sequestrato e torturato ed Estela cerca in tutti i modi di ritrovare la figlia e poi il nipote. Viene a sapere da una compagna di prigionia di Laura poi rilasciata che il bambino è nato sano e che lei voleva chiamarlo Guido.
Quando un militare annuncia brutale che Laura è morta “in uno scontro a fuoco” e nega l’esistenza del bambino, Estela si unisce ad altre madri alla ricerca di figli e nipoti scomparsi. Comincia la sfilata tenace e silenziosa delle donne dal fazzoletto bianco in Plaza de Mayo a Buenos Aires, circondate da minacciosi militari a cavallo e piano piano la loro forza indomabile ottiene risultati: le loro file si ingrossano, la verità inizia ad emergere e i primi nipoti vengono ritrovati.
Nell’83 la dittatura militare finisce dopo il disastro della guerra delle Falkland e l’attività delle madri e delle nonne si fa sempre più intensa. Estela non ritrova il nipote Guido, eppure non perde la speranza. E intanto un centinaio di figli di desaparecidos, dei 500 che si calcola siano stati affidati a famiglie di estranei, hanno riacquistato la loro identità e conosciuto la loro vera famiglia.
I dati forniti alla fine del film fanno da ponte con l’ultima parte dell’incontro, la più emozionante. Seguire la vicenda della famiglia Carlotto, identificarsi con il suo dolore è stata un’esperienza forte e commovente, ma ritrovarsi davanti in carne e ossa due nipoti ritrovati, Macarena Gelman e Manuel Gonçalves Granada, stringe il cuore e allo stesso tempo lo apre alla speranza. Intervistati dalla giornalista del Corriere della Sera Alessandra Coppola, Macarena e Manuel parlano della loro vicenda e rispondono alle domande del pubblico con calma e serenità.
Una delle cose che più colpiscono del film è la mancanza di risentimento, odio e vendetta nei confronti degli assassini dei loro figli da parte di Estela e delle altre madri. Lo stesso atteggiamento si ritrova in Macarena e Manuel: cercare vendetta, spiega Manuel, vorrebbe dire essere come chi ha ucciso i loro genitori. E’ questo il messaggio che gli è stato trasmesso dalle madri. Loro rivendicano il diritto di conoscere la verità, lavorano nelle scuole per trasmetterla alle nuove generazioni, che spesso sanno poco o niente della dittatura, cercano giustizia e soprattutto cercano con impegno instancabile i tanti altri giovani come loro, che ancora ignorano chi sono veramente.
Proprio per questo hanno formato la Rete per l’identità, con sedi in molte città argentine e ora allargata ad altri paesi, tra cui l’Italia: molti nipoti sono stati ritrovati infatti al di fuori dell’Argentina, in Brasile, Uruguay, Cile, Inghilterra e Spagna. Dati i forti vincoli tra Argentina e Italia e il trasferimento in Italia di tanti giovani dopo la crisi del 2001, è possibile che alcuni nipoti che ignorano di essere tali vivano qui.
Come racconta Manuel, ancora prima di essere ritrovati tutti quelli come lui nutrivano già qualche dubbio, sentivano che nella loro famiglia qualcosa non andava; il volantino che viene usato per questa ricerca punta proprio su quel dubbio e invita a scrivere a una mail dal nome significativo: dubbio@reteidentita.it