In seguito all’ennesimo tragico suicidio di un giovane monaco buddista l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) accusa le autorità cinesi di aggravare la situazione in Tibet perseguitando i parenti e amici dei monaci suicidi invece di avviare finalmente una nuova politica per il Tibet che rispetti i diritti dei Tibetani. La mattina del 13 febbraio 2013 un giovane monaco tibetano si è dato fuoco nella capitale nepalese Kathmandu per protesta contro la politica cinese in Tibet. Si è trattato della 100esima persona che dal febbraio 2009 a oggi si è suicidata dandosi fuoco pubblicamente per motivi politici.
Nonostante l’evidente fallimento della politica cinese in Tibet, le autorità non sembrano voler fermare la repressione e hanno pareggiato questa forma di suicidio a un “omicidio”. Questo a sua volta permette la criminalizzazione dei parenti e degli amici delle vittime. La criminalizzazione sistematica dei parenti e amici di chi si suicida per motivi politici viola sia il diritto cinese sia il diritto internazionale.
Da ottobre 2012 le persone che si sono date fuoco pubblicamente è drammaticamente aumentato. Le autorità cinesi hanno reagito punendo sistematicamente i parenti e gli amici delle persone suicide. Lo scorso 1 febbraio 2013 sei persone sono state condannate a pene detentive fino a 12 anni per non aver consegnato alle autorità la salma di un loro congiunto morto per essersi dato fuoco. Il Tibetano Lobsang Kunchok è stato incriminato per aver istigato otto persone a darsi fuoco. A conclusione di un processo sensazionalistico Lobsang Kunchok è stato condannato lo scorso 31 gennaio alla pena capitale (l’esecuzione della pena è stata sospesa per due anni). Cinque degli otto suicidi di cui è stato accusato Lobsang Kunchoknon non sono però mai avvenuti. Secondo le autorità cinesi, le cinque persone pronte a suicidarsi hanno cambiato idea dopo aver parlato con la polizia. Il nipote di Lobsang Kunchok, Lobsang Tsering, è stato invece condannato a 10 anni di carcere per omicidio doloso.
Le punizione di parenti e amici di persone suicide per motivi politici non sono più solo casi isolati. Il 2 febbraio 2013 le autorità cinesi hanno arrestato il 42enne Yarphel, zio di Dorjee Lhundup morto lo scorso 4 novembre dandosi fuoco. Diverse persone sono state arrestate e condannate al carcere per aver passato informazioni sulle auto-immolazioni. Amici dei parenti delle vittime sono stati bloccati mentre si recavano a fare le condoglianze ed è stato loro intimato di non fare visitare ai parenti dei suicidi pena l’annullamento di aiuti finanziari. Diversi parenti di vittime denunciano tentativi di corruzione da parte delle autorità che hanno offerto loro soldi affinché sostenessero pubblicamente che a motivare il suicidio del loro congiunto fossero stati motivi familiari. In ottobre 2012 i parenti di Sangay Gatso hanno subito un tentativo di corruzione da parte delle autorità che in cambio di soldi chiedevano loro di negare pubblicamente che il suicidio di Sangay Gatso fosse a sfondo politico.
In novembre 2012 invece è stato arrestato Dhonue, marito di Dolkar Tso che si era data fuoco lo scorso 7 agosto 2012. Dhonue si era rifiutato di dichiarare che sua moglie si fosse suicidata per motivi familiari . I quattro monaci Tashi Gyatso, Kalsang Gyatso, Jigme Gyatso e Kunchok Gyatso del monastero di Dokar (provincia di Gansu) sono stati arrestati tra il 14 e il 17 ottobre 2012 per aver tentato di occuparsi di una persona che si era data fuoco e di aver poi fotografato la salma. In giugno 2012 è stato condannato a sette anni di carcere il monaco Lho Younten Gyatso della prefettura tibetana di Ngaba (provincia di Sichuan) per aver passato informazioni sulle auto-immolazioni a Tibetani in esilio.