Metà bancomat per alimentare il sistema di corruzione politico nazionale e metà centro dispensatore di incarichi, consulenze e prebende per mogli, amanti e figli dei potenti di turno. Dopo la Fiat, Finmeccanica è la seconda holding industriale d’Italia: produce aerei, elicotteri, locomotive, carri armati, missili, satelliti e centri di telecomunicazione, con una spiccata vocazione per gli strumenti di morte da esportare ad ogni esercito in guerra. Dal 2009 è tra le dieci regine del complesso militare industriale mondiale e ha intrecciato partnership con i giganti d’oltreoceano moltiplicando ordini e commesse. Una gallina dalle uova d’oro per manager e azionisti, tra questi ultimi il Ministero dell’economia e delle finanze della Repubblica italiana che ancora controlla il 30,2% del pacchetto azionario.

Eppure l’holding esprime il volto peggiore della res publica. E non certo solo per quello che produce o per i sanguinari clienti di fiducia. Grazie ad un complesso meccanismo di scatole cinesi, rigorosamente con sedi all’estero, Finmeccanica gode d’immensi privilegi fiscali al limite dell’evasione. Negli ultimi tempi, poi, è sempre più dentro alle cronache giudiziarie, oggetto d’inchieste delle Procure di mezza Italia. Come quella sugli affari a suon di tangenti tra l’Enav, l’ente nazionale per l’assistenza al volo, e la controllata Selex Sistemi Integrati che ha costretto il potente amministratore delegato di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini e la moglie Marina Grossi (ad di Selex) ad abbandonare prematuramente i profumatissimi incarichi. Tira brutta aria pure per il successore di Guarguaglini, Giuseppe Orsi, indagato per corruzione internazionale e riciclaggio relativamente alla fornitura di 12 elicotteri AugustaWestland alle forze armate dell’India, una commessa che secondo i magistrati romani avrebbe comportato il versamento di tangenti per 41 milioni di euro ad alcuni funzionari indiani e di 10 milioni alla Lega di Bossi.

Sempre a Roma s’indaga sulle presunte tangenti versate durante la vendita al Comune di bus prodotti da Breda-Menarini, altra controllata Finmeccanica. E pure sulle consulenze “inutili” che sarebbero state affidate a Lisa Lowenstein, cittadina statunitense ed ex moglie di Vittorio Grilli, odierno ministro dell’Economia. A metà ottobre, su ordine dei magistrati di Napoli, è stato ordinato l’arresto dell’ex-direttore commerciale di Finmeccanica, Paolo Pozzessere, nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte tangenti per la vendita di aerei ed elicotteri a Panama e Russia e, con Fincantieri, di unità navali al Brasile. E nelle indagini è stato coinvolto pure l’ex ministro per lo Sviluppo economico, Claudio Scajola.

Un mese prima, invece, era finito in manette Pierluigi Romagnoli, ex manager Alenia-Finmeccanica e responsabile export di EADS, il consorzio internazionale di cui l’holding è socia nella produzione dei cacciabombardieri “Eurofighter Typhoon”. Romagnoli è stato accusato di bancarotta fraudolenta e riciclaggio e nel mirino degli inquirenti c’è la vendita sospetta di 15 aerei alle forze armate austriache.

L’ultimo anno è stato uno dei più difficili della storia di Finmeccanica anche dal punto di vista economico-finanziario. Nel 2011 tutti i risultati del gruppo sono stati negativi: sono stati persi 2.306 milioni di euro, contro i 557 guadagnati nel 2010. Gli ordini sono calati del 22%, attestandosi a 17.434 milioni e i ricavi sono scesi del 7% rispetto all’anno precedente. Dati ancora più drammatici sul fronte occupazione: nell’ultimo biennio, Finmeccanica è passata da 75.000 a 69.000 dipendenti. L’indebitamento finanziario netto è stato stimato il 30 giugno 2012 a 4,656 miliardi di euro, mentre il valore delle azioni è precipitato a 3,8 euro quando solo cinque anni prima ne valevano 21,2. A complicare il quadro è giunta qualche settimana fa la notizia del declassamento del rating dell’azienda da parte di Moody’s da Alta ad Accettabile capacità di ripagare i debiti a breve termine.

Nonostante siano state le scelte di puntare all’espansione del comparto bellico a danno di quello civile ad accelerare la crisi di Finmeccanica (secondo l’Istituto di ricerche svedese per la pace Sipri, il 58% del fatturato è generato da vendite di armi), l’ultimo Cda ha presentato un piano di “rilancio aziendale” che punta a concentrare gli sforzi quasi esclusivamente nel settore aerospaziale e delle telecomunicazioni militari. Tra gli obiettivi a breve e medio termine spiccano la dismissione delle aziende che operano nel settore dell’energia e dei trasporti (da cui i manager sperano di ricavare almeno un miliardo di euro) e l’applicazione di “interventi di risparmio e razionalizzazione” come ad esempio il “taglio” di oltre 900 dipendenti nelle industrie aeree. Prevista infine l’emissione di corporate bond per non meno di 750 milioni di euro, misura che sovraesporrà debitoriamente l’holding con il sistema bancario.

Intanto proseguono le ristrutturazioni e le fusioni aziendali nel settore a prevalente produzione bellica. Il polo aeronautico vede adesso operare congiuntamente Alenia e Aermacchi: si realizzano i cacciabombardieri “Tornado” ed “Eurofighter”, i velivoli da trasporto tattico C-27J “Spartan” e gli aerei d’addestramento M-346 ed MB-339. L’azienda è anche la capo commessa in Italia per il Joint Strike Fighter F-35, il supercostoso bombardiere di ultima generazione a capacità nucleare ed è la seconda maggior partecipante nel programma europeo “Neuron” per lo sviluppo di un nuovo velivolo d’attacco a pilotaggio remoto (UCAV). Sempre nell’ambito dei sistemi senza pilota che stanno rivoluzionando le strategie di guerra aerea del XXI secolo, Alenia Aermacchi sta sperimentando i dimostratori volanti “Sky-X” e “Sky-Y”.

Nel settore degli elicotteri militari, la holding conta su AugustaWestland, società produttrice dei modelli “NH90”, “AW129” e “Super Lynx 300” e che sta per commercializzare il convertiplano BA609 (un ibrido di guerra, metà elicottero e metà aereo) e gli elicotteri “Future Lynx” e “AW149”. Grazie ad Oto Melara, Finmeccanica controlla inoltre una fetta del mercato internazionale delle artiglierie navali e terrestri, dei carri armati, dei blindati e dei sistemi antiaerei. Attraverso le controllate Selex Sistemi Integrati, Selex Communications e Selex Galileo (dal 1° gennaio 2013 opereranno tutte sotto il marchio di Super Selex), il gruppo si è affermato nel business dell’elettronica e dei sistemi di comando, controllo, comunicazioni e intelligence. Sta assumendo sempre più importanza pure il settore spaziale, dove Finmeccanica opera attraverso Telespazio (una joint venture con la francese Thales), tra i principali operatori mondiali nella gestione di satelliti, civili e militari. Altra joint venture di importanza strategica è MBDA, azienda leader nella produzione di sistemi missilistici, dove Finmeccanica è presente insieme ai colossi europei BAE Systems ed EADS.

Nonostante l’ampio ventaglio di clienti internazionali (compresi quei paesi che dovrebbero essere posti sotto embargo perché belligeranti o violatori dei diritti umani), nell’ultima decade è cresciuto il pressing e il corteggiamento dei dirigenti di Finmeccanica verso l’Alleanza Atlantica e il suo paese-guida, gli Stati Uniti d’America. E gli affari non sono certo mancati.

Lo scorso mese di aprile Alenia Aermacchi si è aggiudicata un contratto dalla Netma – Nato Eurofigthter and Tornado Management Agency del valore di oltre 500 milioni di euro per la fornitura di servizi di supporto tecnico-logistico ai velivoli del programma “Eurofighter” in 4 nazioni (Italia, Germania, Spagna e Regno Unito). Selex Elsag, specializzata nella progettazione dei sistemi di comunicazione militare, in collaborazione con il colosso statunitense Northrop Grumman, ha ottenuto dall’agenzia Consultation, Command and Control NC3A della Nato un contratto di 58 milioni di euro per l’implementazione e la gestione del programma Computer Incident Response Capability (NCIRC) – Full Operating Capability (FOC). Esso interesserà circa 50 tra siti e comandi dell’Alleanza in 28 paesi ed è finalizzato a “rilevare e rispondere in modo rapido ed efficace a minacce e vulnerabilità legate alla sicurezza informatica (Cyber Security)”. Al programma è prevista pure la partecipazione di Vega, la società di consulenza ingegneristica nel settore aerospaziale e della difesa, acquistata da Finmeccanica nel 2008 in Gran Bretagna. Sempre in ambito Nato, Selex Elsag gestirà l’ammodernamento dei centri di telecomunicazioni satellitari di Kester (Belgio), Lughezzano (Verona), Oglaganasi (Turchia) e Atalanti (Grecia), nonché la formazione e l’addestramento del personale militare presso la NATO Communications & Information Systems School di Borgo Piave, Latina.

Nel maggio 2011, la NATO Air Command and Control System Management Agency (NACMA) aveva affidato a Selex un altro importante contratto del valore di 30 milioni di euro, per la fornitura e l’installazione di sistemi di comunicazione in diversi siti terrestri di Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Italia, Norvegia, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna, Turchia e Ungheria, nell’ambito della cosiddetta Rete Link 16 che consente lo scambio dati con i vettori dell’Alleanza nello spazio aereo europeo. Nell’ultimo biennio, l’agenzia NACMA ha affidato a Selex Sistemi Integrati anche l’installazione nei siti Nato in Ungheria e Norvegia di 173 posti operatore del sistema di comando e controllo aereo ACCS e l’integrazione di 230 sensori per tutti gli undici siti di replica ACCS dell’Alleanza (importo complessivo 24,5 milioni di euro).

In ambito Nato, Finmeccanica è in corsa per aggiudicarsi una porzione consistente del business relativo all’acquisizione di nuovi sistemi di comando, telecomunicazione e intelligence e di “difesa” dai missili balistici e di teatro. A fine ottobre, la NATO Communications and Information Agency ha annunciato di essere pronta a spendere in questi settori sino a 2,1 miliardi di euro nei prossimi 18 mesi. Sistemi radar made in Italy per la “costruzione di un’architettura anti-missili balistici” sarebbero stati testati “con successo” in occasione di un’esercitazione multinazionale (Ensemble Test 2) condotta da quest’ultima agenzia dal 25 al 29 settembre scorso. “I test hanno confermato la compatibilità del nuovo sensore italiano con la nuova architettura di difesa missilistica dell’Alleanza”, ha dichiarato il direttore del programma, Alessandro Pera. Nel corso dell’esercitazione sono stati provati inoltre i “sistemi di difesa da missili superficie-aria a medio raggio” di coproduzione franco-italiana e il nuovissimo Principal Anti Air Missile System (PAAMS), il sistema di armi anti-aeree che sarà installato a bordo delle fregate europee di nuova generazione “Horizon”. A capo di PAAMS c’è un consorzio di aziende internazionali il cui 77% dei capitali è in mano a MBDA (partecipata Finmeccanica), mentre nella produzione delle nuove unità da guerra sono presenti Fincantieri e la stessa Finmeccanica.

L’holding italiana si è preparata da tempo all’appuntamento con lo scudo anti-missili che la Nato intende dislocare anche “fuori dai confini geografici dell’alleanza” per la “protezione” delle unità impegnate in operazioni internazionali. Nel settembre 2005, Finmeccanica è entrata a far parte di Alliance Shield, un consorzio di cui fanno parte, tra gli altri, BAE Systems e Lockheed Martin. Risale allo stesso periodo il consolidamento della partnership di Finmeccanica con il colosso statunitense delle armi: fu firmato infatti pure l’accordo capestro per la produzione di piccole componenti dell’F-35 (Lockheed è il prime contractor Nato ed extra Nato del cacciabombardiere) e, attraverso MBDA, per lo sviluppo del controverso programma di “difesa” aerea a corto e medio raggio “MEADS”, progettato in ambito alleato in vista della sostituzione del sistema “Patriot” negli Stati Uniti e in Germania e “Nike Hercules” in Italia. Al “MEADS” Lockheed Martin partecipa con il 58% delle spese; il resto è sulle spalle di Germania (25%) e Italia (17%).

Più di un analista ha rilevato come scudi stellari, F-35 e MEADS siano stati inseriti all’interno di un più ampio piano di cooperazione bilaterale Italia-Usa che ha consentito, da una parte, l’accesso di Finmeccanica alle commesse del Pentagono e, dall’altra, la piena disponibilità dei governi nazionali (quello di centrosinistra con Prodi, quello di centrodestra con Berlusconi e l’’odierno “tecnico” di Monti) a concedere l’uso del territorio italiano per i piani di riarmo di Washington (il Dal Molin di Vicenza, Sigonella “capitale mondiale dei droni”, i Comandi US Africom a Vicenza e Napoli, l’installazione del nuovo sistema di telecomunicazioni satellitari MUOS a Niscemi, di cui proprio Lockheed è il principale contractor).

“Il raddoppio della base americana di Vicenza sta terremotando il governo Prodi, che ha deciso in quella direzione, forse, anche per evitare di compromettere eventuali commesse militari che il Pentagono potrebbe, a breve, assegnare ad aziende italiane”, segnalò Luciano Bertozzi sul mensile Nigrizia nel numero del febbraio 2007. “Del resto, Finmeccanica è in lizza per la fornitura alle forze armate di Washington di un grande numero di aerei da trasporto militari, ma soprattutto è in ballo la realizzazione dell’aereo più costoso della storia il JSF o F35, che sarà adottato, oltre che dagli Usa, anche da numerosi Paesi Nato, con un giro di affari di molti miliardi di dollari…”. Una specie di do ut des, commesse in cambio di basi, facilitato dall’incondizionato sostegno italiano agli interventi Usa e Nato in Afghanistan e Iraq nel nome della “lotta al terrorismo” internazionale. Tra i maggiori interpreti, a Roma, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, odierno ministro della difesa. La decisione di acquistare i superbombardieri di Lockheed Martin e lanciare Finmeccanica nella gara per lo scudo stellare è maturata quando l’alto ufficiale ricopriva il ruolo di Segretario Generale della Difesa – Direttore Nazionale degli Armamenti. Dopo che Di Paola fu promosso a Capo di Stato maggiore delle difesa (ruolo ricoperto dal marzo 2004 al febbraio 2008), l’Italia ha accolto le richieste di Washington per trasferire a Vicenza la 173^ brigata aviotrasportata di US Army, installare in Sicilia MUOS e Global Hawk e trasformare l’intera penisola in piattaforma avanzata per le nuove operazioni delle forze armate nel continente africano.

La sapiente tessitura di relazioni politiche, diplomatiche, militari e industriali sarà premiata il 21 ottobre 2008. In occasione del vertice tra il ministro della difesa Ignazio La Russa e il segretario statunitense Robert M. Gates, viene firmato infatti un aggiornamento del Defense Procurement Memorandum of Understanding in forza del quale, come recita il comunicato del Pentagono, “ogni governo dà accesso al suo mercato della Difesa all’industria dell’altro paese”. “L’accordo – si spiega ancora – favorisce la razionalizzazione, la standardizzazione e l’interoperabilità degli equipaggiamenti per la Difesa fra gli alleati e con gli altri governi alleati”. Italia e Stati Uniti avevano firmato per la prima volta un accordo di cooperazione per la produzione di sistemi di guerra nel 1978 e il Memorandum era stato rinnovato l’ultima volta nel 1990.

L’ingresso delle aziende Finmeccanica nel mercato di guerra Usa rischia tuttavia di trasformarsi a medio termine in un incubo per gli azionisti. Quello che in un primo momento era stato festeggiato come un affare da 6-7 miliardi di dollari, la fornitura sino a 145 velivoli da trasporto tattico C-27J, è oggi uno dei flop più clamorosi della storia dell’aeronautica militare mondiale. Nel 2005, la controllata Alenia North America si era alleata con L-3 Communications Integrated Systems, Boeing, Rolls Royce e Honeywell per concorrere al programma Joint Cargo Aircraft per le necessità operative delle forze armate Usa in Iraq e Afghanistan. Due anni più tardi, in occasione della visita in Italia dell’allora presidente Gorge Bush, il Pentagono annunciò la decisione di assegnare al consorzio italo-statunitense la miliardaria commessa, a condizione che realizzazione e assemblaggio dei velivoli venissero affidati in buona parte agli stabilimenti con sede negli States. Dopo massicci investimenti per avviare la produzione, le aziende si videro però ridurre l’ordine a soli 38 cargo. Alla tredicesima consegna, nel gennaio 2012, la doccia fredda: Washington potrebbe decidere di sospendere l’acquisto in conseguenza dei tagli al bilancio richiesti dal Congresso.

Irrigidendo le politiche protezioniste con la scusa di voler fronteggiare la grave crisi economica ed occupazionale, nel 2009 Barack Obama ha pure deciso la cancellazione del programma per i nuovi elicotteri presidenziali, basati sul modello “AW101” di AgustaWestland. Nel gennaio 2005, l’azienda di Finmeccanica, in joint venture con l’immancabile Lockheed Martin, aveva sottoscritto con le autorità Usa un contratto da 6,5 miliardi di dollari per 23 velivoli. il dietro front di Obama ha bruciato l’affare quando 7 elicotteri erano già stati costruiti.

Ancora peggio quanto si è verificato con l’acquisizione, nel maggio 2008, di DRS Technologies, una delle maggiori fornitrici alle forze armate Usa di apparecchiature e programmi di comando, controllo e comunicazione, computer, sistemi d’intelligence e sorveglianza, centri di elaborazione dati “Aegis” per unità navali, componenti varie per carri armati “Abrams” e cacciabombardieri F-15 ed F-16. Fondata nel 1968 a Parsipanny, località non molto distante da New York, DRS occupa 10.000 dipendenti e ha un fatturato annuo poco inferiore ai 3 miliardi di dollari. Per impossessarsene, Finmeccanica ha dovuto sottoscrivere con il Dipartimento della difesa un “accordo speciale di sicurezza” che garantisce all’Amministrazione Usa la tutela delle informazioni classificate. “Con l’acquisizione di DRS (il cui direttivo rimarrà solidamente in mano all’attuale management statunitense), Finmeccanica e i suoi dirigenti entrano nel circolo dell’apparato sicuritario statunitense che – attraverso le limitazioni di legge all’influenza di gruppi stranieri sulla produzione bellica nonché attraverso i meccanismi con cui si regolano i vari gradi di accesso a informazioni segrete o sensibili – producono una reale sudditanza del nostro paese alle scelte strategiche delle Amministrazioni Usa e al loro apparato di intelligence”, denunciò su il Manifesto (16 maggio 2008), lo studioso Sergio Finardi.

Un’operazione “suicida” confermata pure dall’entità del denaro che Finmeccanica ha dovuto sborsare per rilevare la società (3,4 miliardi di euro), grazie al rastrellamento di ogni singola azione sul mercato a 81 dollari, quando appena un mese prima il valore si attestava a 63 dollari e 74 cent. Un’emorragia finanziaria “sanata”, l’agosto seguente, con un aumento del capitale dell’holding di 1,4 miliardi (il ministero del Tesoro ha dovuto sborsare 250 milioni di euro circa ma ha ridotto la propria partecipazione dal 33,7 al 30,2%), l’emissione di un miliardo di euro in obbligazioni a 5 anni a un tasso dell’8,12% e l’assunzione di un maxidebito con il sistema bancario internazionale (è stato accordato a Finmeccanica un finanziamento complessivo di 3,2 miliardi di euro, accresciuto successivamente a 7 miliardi). “Sfortunatamente per Finmeccanica nel mezzo dell’operazione di acquisto si è inserita la crisi finanziaria internazionale che ha reso più difficile far quadrare i conti del’operazione”, commenta l’IRES Toscana che ha curato la ricerca Finanza e Armamenti. Istituti di credito e industria militare tra mercato e responsabilità sociale (Edizioni Plus – Pisa University Press, 2010). “Da un lato le emissioni obbligazionarie sono divenute più costose, proprio mentre andava accelerato il rimborso agli investitori obbligazionari di DRS; dall’altro lato la collocazione di società non strategiche del gruppo è divenuta bruscamente meno redditizia per l’abbassamento degli indici di borsa (e quindi del valore di borsa di quelle società)”.

L’incondizionata fedeltà italiana alle avventure militari di Washington ha comunque consentito a DRS Technologies di ricevere nuove importanti commesse. A fine 2008, la società ha venduto sistemi elettronici e di visione “JV-5” per 531 milioni di dollari, da montare sui veicoli ruotati e cingolati dell’esercito e dei marines. Nell’estate del 2009, si è invece aggiudicata un contratto di 143,9 milioni di dollari per produrre “addestratori P5” per i caccia dell’aeronautica e della marina militare Usa, e 270 rimorchi “M1000” per il trasporto su strada e terreni accidentati dei carri armati M1 “Abrams”. Nel settembre 2010 è giunto invece un contratto da 1,9 miliardi di dollari per la fornitura di tecnologie ad infrarossi da utilizzare a bordo di mezzi da combattimento medi e pesanti.

Due importanti commesse rialgono alla fine del 2011, la prima insieme a  Lockheed Martin per la fornitura di sistemi di combattimento e sonar ai sottomarini nucleari delle classi “Los Angeles”, “Seawolf” e “Virginia” (400 milioni di dollari); la seconda per la fornitura di servizi di supporto ai mezzi blindati e carri armati di Us Army (47,3 milioni di dollari). Nel gennaio 2012 la società è stata chiamata a fornire nuovi sistemi di navigazione per gli elicotteri “Pave Hawk HH-60G” dell’Us Air Force e sistemi elettronici avanzati per gli aerei E-6B di Us Navy (63 milioni).

La progressiva americanizzazione del complesso industriale militare nazionale è confermata pure dalla scalata azionaria di importanti fondi d’investimento privati Usa. Meno di un anno fa, come riporta il volume Armi, un affare di stato (Chiarelettere, 2012), tra i maggiori azionisti di Finmeccanica comparivano Tradewinds Global Investors (5,38%), Deutsche Bank Trust Company Americas (3,6), BlackRock (2,24) e Grantham Mayo Van Otterloo & Co. (2,05). Ad essi vanno aggiunti, secondo quanto rilevato da IRES Toscana, società e fondi pensione statunitensi che detengono pacchetti azionari di minore entità e che hanno partecipato alle assemblee dei soci Finmeccanica nel 2008 e nel 2009: New Perspectives Fund (1,96%), Fundamental Investors (1,18), Capital World Growth Fund (0,64), Europacific Growth Fund (0,47), Ishares Msci Eafe Index Fund (0,28), GMO Foreign Fund (0,14), Thrivent Partner International Stock Portfolio (0,13), State Street Bank and Trust Company Investment Funds (0,12). Insieme, il capitale finanziario a stelle e strisce dovrebbe controllare già più del 18% della sempre meno italiana Finmeccanica. Di contro, a riprova del processo di globalizzazione di quello che ormai legittimamente può essere definito il complesso militare-finanziario-industriale, i gruppi bancari italiani più importanti, contestualmente azionisti e creditori di Finmeccanica – attraverso una moltitudine di fondi flessibili, bilanciati e misti – hanno fatto incetta di importanti quote azionarie dei colossi bellici Usa come Lockheed Martin, Northrop Grumman, Boeing, General Electric, L-3 Communications. Un’evoluzione dei mercati che nell’ultima decade ha reso sempre più inestricabile la partnership di guerra Italia-Stati Uniti d’America.

 

Articolo pubblicato in Guerre & Pace, n. 169, gennaio 2013.