Il 24 gennaio 2013 la dottoranda in sociologia turca Pinar Selek, in esilio volontario a Strasburgo, è stata condannata al carcere a vita per il reato di “terrorismo” ai danni dello Stato turco. È accusata di aver preso parte nel 1998 ad un attentato le cui responsabilità sono state attribuite al PKK di Abdullah “Apo” Öcalan. Tuttavia, al di là del fatto che possa essere stato il partito curdo ad organizzare l’attentato (e non è per nulla sicuro: anzi, varie perizie hanno dimostrato che l’esplosione avvenuta nel bazar di spezie fu accidentale e non un attentato), non è possibile provare alcun collegamento tra la studiosa femminista e antimilitarista ed il Partito dei Lavoratori del Curdistan. La Selek si trovava inoltre per caso sul luogo dell’accaduto ed è stata arrestata ed anche torturata dalle autorità di Ankara, rifiutandosi ciononostante di rivelare il nome dei curdi con i quali era stata a contatto per le sue ricerche, che riguardano anche, appunto, le minoranze etniche che Ankara ideologicamente ignora.
Processata e prosciolta già tre volte (a seguito dell’annullamento dei verdetti precedenti che la volevano colpevole) per questa accusa, nel 2006, nel 2008 e nel 2011, ieri la Selek è stata condannata, in più, con un escamotage messo in atto da un fin troppo solerte ed accanito procuratore. Costui, approfittando dell’assenza per malattia del giudice responsabile del procedimento, con un colpo di mano ieri ha ripreso (illegalmente) in mano il dossier e ha emesso la sentenza.
Si tratta di una decisione evidentemente politica, che rientra nella generale tendenza a punire chi è in disaccordo con le posizioni dello Stato turco. Selek è infatti da sempre una militante femminista, antimilitarista e a favore delle minoranze, ed è stata punita per questo. Inoltre, la sua storia familiare non giova a suo favore agli occhi delle autorità: il nonno fu tra i fondatori del Partito Operaio Turco (tra i primi a considerare negli anni ’70 le istanze autonomiste curde); il padre, avvocato difensore dei diritti umani, ha scontato 5 anni di pena nelle prigioni turche a seguito del colpo di Stato militare del 1980.
Dopo la decisione della 12ma corte penale di Istanbul, Pinar Selek molto probabilmente richiederà asilo politico in Francia, cosa che finora non ha mai voluto fare per mantener viva la speranza di tornare in patria. Tuttavia, emessa la condanna, se non facesse questo passo rischierebbe l’estradizione. Determinata nel voler lottare per la democrazia nella sua terra, Pinar Selek è celebre per aver più volte dichiarato che
«In realtà, la mia colpa è di voler essere libera nelle mie ricerche di sociologa, nelle mie rivendicazioni politiche e di aver osato lavorare sul movimento curdo. In Turchia, oggi, ci sono solo tre opzioni per quelli che, come Hrant Dink, giornalista turco-armeno assassinato nel 2007, Nazim Hikmet, poeta turco morto in esilio a Mosca nel 1963, o me stessa, amano il loro Paese e lottano per estendere la libertà: la prigione, la morte o l’esilio.»
La Francia si sta mobilitando per Pinar Selek in queste ore, con la città di Strasburgo, l’università, decine di parlamentari, una miriade di associazioni. Alla notizia della condanna, il 24 gennaio un grande sit-in ha riunito oltre 200 persone nel capoluogo alsaziano, seguito il girono dopo da una grossa manifestazione a sostegno di Pinar, ingiustamente condannata.
Il caso di Pinar Selek non è l’unico tra gli accademici e i ricercatori turchi. Alla faccia di chi continua a citare la Turchia come “modello di democrazia” in Medio Oriente (peraltro spesso insieme ad Israele!). Già da anni è attiva a questo proposito un’iniziativa di solidarietà internazionale per la libertà di ricerca e insegnamento in Turchia, denominata Git (qui il sito italiano).
Prossimamente torneremo ad occuparci della questione di intellettuali e repressione in Turchia su FirstLine Press
Maggiori info sul sito francese dedicato a Pinar Selek. La notizia è riportata tra gli altri da Mediapart.fr e da Le Monde in Francia, da InfoAut in Italia.