Pubblichiamo un’intervista a Gaoussou Bathily, responsabile dell’associazione Mondo senza guerre in Mali.


1) Come sta vivendo la gente del Mali questa difficile situazione?

La persone in Mali sono estremamente preoccupate e costernate per ciò che sta accadendo nel nord del paese. Il popolo maliano è stato profondamente toccato nel suo orgoglio, con la perdita di tre regioni del nord (Tombouctou, Gao e Kidal) cadute nelle mani dei seguenti gruppi armati terroristi: Movimento per la Liberazione della Azawad (MNLA ), Ansar Dine Movimento per l’Unità e la Jihad in Africa occidentale (MUJAO) e AQIM.
Questa situazione catastrofica  alimenta gli spiriti bellicosi e spinge la maggior parte dei maliani alla guerra per vendicare l’offesa inflitta ai militari e alla sicurezza del paese.
Pertanto, l’intervento precipitoso della Francia è stato accolto favorevolmente dalla maggioranza della popolazione, che ha visto l’esistenza stessa del Mali minacciata dalla fulminea avanzata jihadista, in seguito alla presa della città di Konnan, il 10 gennaio 2013. (Ricordiamo che la città di Konnan, si trova nella regione di Mopti ed  è stata la linea di demarcazione tra le forze armate maliane e i gruppi armati).
Lo scoppio delle ostilità ha rafforzato lo spirito patriottico dei maliani, che hanno risposto unanimemente alla chiamata del Presidente della Repubblica  apportando sostegno finanziario e materiale alla guerra. E’ altresì palese  il senso di gratitudine verso la Francia, che si manifesta in  tutte le città del paese con il dispiegamento della bandiera francese accanto alla bandiera del Mali sulle principali strade, nei centri commerciali e di fronte alle abitazioni sia nella  città di  Bamako che  nelle capitali regionali.

2) La Francia sarebbe comunque intervenuta se non fossero stati in gioco i suoi interessi economici e commerciali nel paese?

Oggi la Francia non è più il primo investitore straniero in Mali, ma resta il più visibile in termini di  strutture commerciali. Data la minaccia dell’avanzata jihadista su Bamako, dove si trovano i maggiori insediamenti commerciali gestiti da cittadini francesi, la Francia non poteva  assistere impotente.

Inoltre l’intervento francese in Mali rafforza la posizione della Francia come partner per l’esplorazione e lo sfruttamento del petrolio e delle risorse minerarie che si trovano nel sottosuolo. Queste ricchezze sono ancora in gran parte inesplorate e tanto meno sfruttate. L’unica risorsa mineraria al momento esportata è l’oro, che fa del Mali il terzo paese produttore in Africa.

I geologi sanno che il sottosuolo del Mali contiene uranio. La società mineraria canadese Rockgate  ha presentato una  licenza per lo sfruttamento di un deposito di uranio a Falea, a 350 chilometri a ovest di Bamako, al confine con il  Senegal e la Guinea. Secondo i calcoli preliminari, il deposito conterrebbe circa 12.000 tonnellate di  uranio ( quattro volte  quello che si trova nella miniera francese Areva ad Arlit in Niger). Secondo alcune fonti il  nord del Mali sarebbe pieno di grandi giacimenti di oro, uranio e gasolio. Se la  Francia resta al fianco del Mali nei momenti difficili può facilmente ottenere appalti nel settore minerario in zone ancora inesplorate.

Pertanto si pone la questione di fondo se l’intervento francese che ha fermato l’avanzata degli jihadisti a Bamako, non protegga, anche se indirettamente, gli  interessi economici della Francia; d’altra parte, sotto la pressione dei gruppi armati che cosa dovrebbe essere scegliere il Mali? La maggioranza del popolo maliano continua ad essere favorevole all’intervento francese perché, come Silo dice nel suo libro “Umanizzare la terra”, “Una cosa è provvisoriamente migliore di un’altra, ma in definitiva non c’è cosa migliore o peggiore
3) I rifugiati sono molti? Dove si trovano?

Secondo l’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA) ci sono circa 150.000 persone in  fuga dal conflitto rifugiate nei paesi vicini e il numero degli sfollati nel paese è vicino a 230.000.

L’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) ha registrato 54.100 profughi del Mali in Mauritania, 50.000 in Niger, 38.800 in Burkina Faso e 1.500 in Algeria  Il Programma Alimentare Mondiale, che distribuisce cibo in Mali attraverso diverse ONG, ha annunciato la necessità  di un finanziamento di 129 milioni di dollari (95 milioni di euro) per soddisfare il fabbisogno alimentare.

4) Quali sono le reali condizioni di vita della popolazione?

Il colpo di stato del 22 marzo 2012 e l’occupazione delle regioni del Nord da parte di gruppi armati ha avuto conseguenze non solo politiche e di sicurezza, ma anche  di carattere socio-economico.
Secondo le autorità la crisi ha provocato la perdita di 1 miliardo di euro ( 655 miliardi di franchi CFA) e ciò ha causato una recessione economica  del 2%. La crisi si è particolarmente aggravata con la sospensione degli aiuti internazionali, che rappresentano quasi un terzo del bilancio del Mali. Come risultato, tutti i settori dell’economia sono stati colpiti e i servizi sociali hanno visto i loro bilanci congelati per il quarto trimestre. Questo quadro desolante dell’economia del Mali ha avuto ripercussioni disastrose sulla vita delle persone, con forti tagli  ai posti di lavoro nel settore privato e ai servizi pubblici, insufficienti  forniture di acqua e di energia elettrica da parte  dell’Energie du Mali (EDM) e della Società di gestione dell’acqua potabile del Mali (SOMAGE). Sono stati inoltre ridotti i sussidi statali sulla benzina e il gas: in breve, il paniere alimentare  è molto degradato.

 5) Qual è il ruolo della politica?

In seguito al colpo di stato del 22 marzo, il Mali si è ritrovato diviso tra raggruppamenti di partiti politici e organizzazioni favorevoli o contrari al golpe. Sono a favore la Convenzione patriottica per il Mali (COPAM) e Oumar Mariko partito SADI, mentre  vi si oppongono il FDR (Fronte per la Repubblica e la democrazia). i cui capi sono tra l’altro Chiaka Diakité, Segretario Generale del Sindacato Nazionale dei Lavoratori del Mali (UNTM) e Iba N’Diaye, Vice Presidente dell’ADEMA (il partito di maggioranza).

Tra questi due gruppi, ve ne sono altri capeggiati da leaders politici che non si sono schierati né a favore né contro il colpo di stato di stato.

Tutti questi diversi raggruppamenti politici hanno svolto un ruolo di informazione, di sensibilizzazione e di protesta contro la situazione socio-politica ed economica attraverso incontri, atti, conferenze, comunicati stampa e manifestazioni.

Nel dibattito sulla sicurezza nel nord, i golpisti erano fortemente contrari a un intervento militare, mentre gli anti golpisti erano favorevoli all’intervento delle truppe dell’ECOWAS (gli stati dell’Africa occidentale) in Mali.

Inoltre sussistono delle differenze sull’organizzazione delle consultazioni elettorali nazionali per  decidere la tabella di marcia per la transizione. I sostenitori del colpo di stato pensano  che si dovrebbe iscrivere all’ordine del giorno a livello nazionale la cacciata o il mantenimento delle  persone che incarnano le istituzioni di transizione, mentre gli oppositori ritengono che  le consultazioni nazionali  debbano delineare solo le linee guida e dare  direttive che le autorità della transizione dovranno seguire. Secondo questi ultimi, la rimozione delle  persone che incarnano la transizione significherebbe la  rinuncia all’ordine costituzionale  ripristinato dopo il colpo di stato in seguito alla mediazione ECOWAS.

Di fronte a queste divergenze di opinioni le elezioni a livello nazionale sono state rimandate di giorno in giorno sino all’ 8 gennaio, data di  ripresa delle ostilità da parte di gruppi armati.

6) Questa situazione durerà?

Penso di sì.
Per quanto riguarda la situazione della sicurezza nel nord, la guerra contro i gruppi jihadisti  non è un compito facile a causa di diversi fattori, tra cui l’estensione della zona Sahel sahariana da loro controllata, la facilità di spostamento, le armi di cui sono dotati,  il traffico di armi, droga, tabacco, ecc e la complicità di jihadisti nazionali che permettono loro di confondersi  con la popolazione civile. Tutto ciò fa sì che permangano sacche di resistenza anche dopo dispiegamento dell’esercito del Mali e  del Misma (missione di supporto in Mali) e il recupero delle principali città delle regioni settentrionali.

Per questo motivo, è fondamentale una riforma dell’esercito: le forze armate e di sicurezza in Mali devono essere dotate di mezzi che consentano loro di prevenire, combattere e affrontare attacchi terroristici all’interno dell’area geografica Sahel-sahariana. Nonostante la mia personale avversione a ogni forma di violenza, non è possibile proporre la scomparsa o il disarmo unilaterale dell’esercito, creando vuoti che sarebbero riempiti da altre forze aggressive islamiche.
Sul piano politico, mi sembra inconcepibile indire le elezioni senza il recupero delle regioni settentrionali. Si correrebbe il rischio di dare un’opportunità ai secessionisti di non riconoscere le istituzioni della Repubblica uscite vincitrici delle elezioni; non avendovi partecipato, questi  potrebbero rivendicare  l’ indipendenza o l’autodeterminazione del nord del Mali.

Sul piano socio-economico, non credo che le cose miglioreranno in modo significativo prima del ritorno della pace nel nord e lo svolgimento di elezioni libere e trasparenti.

Purtroppo questa è la situazione; non ci resta che sperare che tutto si risolva nel minor tempo possibile.

Commento all’intervista: la situazione è molto difficile e complicata.  Ritengo che come si sta lottando per fermare coloro che vogliono imporre la lapidazione e le mutilazioni, bisogna anche denunciare la miseria imposta dalle potenze occidentali  (Francia in primis)  a gran parte della popolazione africana, al fine di sfruttarne le risorse naturali.