L’Associazione per i popoli Minacciati (APM) saluta con sollievo la decisione delle autorità della Papua-Nuova Guinea di sospendere il primo progetto minerario in alto mare. In seguito al mancato sostegno finanziario da parte del governo della Papua-Nuova Guinea, l’impresa canadese Nautilus Minerals ha interrotto le preparazioni per l’avvio dell’estrazione di minerali nell’arcipelago di Bismarck. L’estrazione avrebbe dovuto partire nel 2013 a 30 km dalle coste dell’isola di New Ireland e a una profondità di 1.600 m. La Papua-Nuova Guinea avrebbe dovuto contribuire al progetto con un investimento di 75 milioni di dollari.
La fine dei lavori è anche conseguenza delle proteste della popolazione indigena locale. Il 23 ottobre scorso gli oppositori al progetto hanno consegnato al governo una petizione firmata da 24.000 persone che chiedeva appunto la sospensione definitiva dei lavori. La popolazione indigena locale vive principalmente di pesca e teme che l’estrazione mineraria in mare possa distruggere il patrimonio ittico. Le critiche al progetto sono però arrivate anche dagli scienziati marini che chiedono uno studio approfondito sui possibili effetti che tale progetto potrebbe avere per l’uomo e per l’ambiente. Di fatto le conseguenze dell’estrazione mineraria marina, il primo progetto al mondo nel suo genere, sono finora del tutto sconosciute.
Molti degli oltre 100.000 abitanti dell’isola sperano invece nell’ampliamento dell’industria ittica locale che esporta soprattutto tonno in Giappone. Circa il 72% degli introiti da esportazione della Papua-Nuova Guinea provengono dalla vendita di minerali e olio di palma. L’isola di New Ireland, chiamata anche Neumecklenburg durante il periodo coloniale tedesco (1885-1918), è lunga 320 km e larga circa 11 km per un’area di ca. 9.500 km2 e da oltre 30.000 anni è abitata da popoli indigeni.