Greenpeace accusa i rappresentanti dei governi presenti alla COP 18 delle Nazioni Unite di aver fallito ancora. Pur avendo trovato un accordo per un secondo periodo di validità del Protocollo di Kyoto, tale accordo prevede così tante scappatoie da risultare ininfluente ai fini della riduzione globale delle emissioni di carbonio.
“Oggi chiediamo ai politici riuniti a Doha: su quale pianeta vivete? Certamente non su quello in cui le persone muoiono per alluvioni, tempeste e siccità. E neppure su quello in cui le energie rinnovabili stanno crescendo rapidamente e limiti e vincoli vengono progressivamente opposti all’uso delle fonti sporche come il carbone. I negoziati di Doha si annunciavano già come poco significativi ma hanno finito per deludere anche le più modeste aspettative” ha dichiarato Kumi Naidoo, Direttore esecutivo di Greenpeace International.
Greenpeace non vede negli accordi trovati nessun carattere di “urgenza” nel contrasto ai cambiamenti climatici. Il ritmo con il quale si prevede di operare ulteriori tagli alle emissioni di gas serra è lontano da quello che la comunità scientifica ci ammonisce a fare, invece, in tempi serrati. I Governi nazionali antepongono i loro interessi a breve termine a quelli a lungo termine di tutto il Pianeta. Appena tre giorni fa, il tifone Pablo, nelle Filippine, ha mostrato i costi dei cambiamenti climatici in termini di vite umane. La decisione dei politici a Doha di non accelerare né di ampliare gli sforzi per la salvaguardia del clima non ha scuse. Intanto, i crescenti impatti dei cambiamenti climatici intensificheranno le pressioni per accordi più ambiziosi nel 2015.
In un quadro generale dove molti Governi hanno mancato di esprimere un serio impegno, questa volta anche l’Europa – tradizionalmente più progressista di altri nella salvaguardia del clima – se ne va da Doha con le mani sporche. Non è stata in grado di isolare la Polonia – e anzi ne ha preso le parti – riguardo al trasferimento dei crediti di emissione avanzati dal primo al secondo periodo di validità del Protocollo di Kyoto. Si è, inoltre, rifiutata di aggiornare il target del 20% di riduzione delle emissioni di gas serra, di fatto quasi già conseguito.
Gli Stati Uniti rimangono fuori dal Protocollo e, nonostante i recenti disastri dell’uragano Sandy e un’opinione pubblica sempre più schierata sul tema dei cambiamenti climatici, la squadra di Obama non ha mostrato alcun segno di accresciuta consapevolezza. In questo quadro, le grandi economie emergenti come Cina, India, Sud Africa e Brasile ancora non dimostrano il loro potenziale positivo di intervento. Tutti questi attori potrebbero prendere esempio dalla Repubblica Dominicana che, non avendo neppure una minima parte delle loro risorse economiche, si è impegnata a ridurre del 25% le emissioni di gas serra al 2030 rispetto ai livelli del 1990, unilateralmente e attraverso fondi nazionali.
Intanto Greenpeace annuncia che la sua nave Esperanza sta lasciando il porto di Manila, cancellando i suoi piani di intervento in difesa degli oceani del Sud Est asiatico per intervenire nella crisi umanitaria di Mindanao.