Martedì scorso, comprando per strada Walfadjiri (uno dei principali quotidiani senegalesi), ho letto un po’ preoccupato l’allarme lanciato dal governo senegalese per affrontare una grave epidemia di tubercolosi in corso nelle principali città del paese, Dakar, Thies, Kaolack, Diuorbel e Ziguinchor. La foto e il titolo a caratteri cubitali in prima pagina sono inequivocabili, eppure alzando gli occhi la realtà quotidiana a Dakar sembra scorrere come d’abitudine (come amano dire da queste parti).
Cerco informazioni più dettagliate, ma escludendo altri lettori di Walfadjiri, nessuno sa nulla.
Solo dopo qualche giorno scopro che il giorno prima, lunedì 18 novembre, era la Giornata Mondiale della Statistica africana. Tra tutte le feste e le ricorrenze possibili, non ne avrei ma immaginata una così stravagante.
Per commemorarla degnamente Walfadjiri aveva pubblicato un dossier sullo studio del 2010 sull’incidenza della tubercolosi nella società senegalese ed elaborato delle proiezioni per il 2012.
Sembra invece molto più difficile da risolvere il mistero che circonda la scelta del presidente della repubblica Macky Sall, eletto lo scorso aprile, di non risiedere nel Palazzo Presidenziale della Repubblica. I senegalesi, estremamente cerimoniosi e amanti delle formalità, hanno iniziato da qualche mese a domandarsi il motivo che spinge Macky a lavorare di giorno nel palazzo e ritornare nella sua villa sulla Corniche tutte le sere, costringendo la guardia presidenziale da quasi otto mesi a un insensato servizio di scorta notturno. Tra il chiacchiericcio diffuso, l’ipotesi più accreditata è il timore, tutto del presidente, che nel palazzo alberghino “spiriti o forze malevole”.
“Ci mancava il presidente superstizioso”, si lamenta Ibrahima, funzionario consolare in Kuwait da oltre 12 anni, attualmente in attesa di un nuovo incarico in Senegal. “Macky Sall ha fatto degli avanzamenti incredibili nell’ambito della giustizia. Il tribunale speciale per i reati contro l’arricchimento illecito funziona a pieno regime e sta dando i suoi primi frutti. Ma per il resto non succede nulla. E la gente comincia a sentirsi insoddisfatta.”
A poco sembra servire l’impegno per cercare di recuperare, attraverso la ricostruzione di tutti i movimenti bancari, i miliardi di franc sefà maneggiati negli ultimi anni da Karim Wade, figlio dell’ex presidente della Repubblica e principale indagato dell’inchiesta del Tribunale Speciale per aver svuotato le casse senegalesi.
“Al massimo finirà in prigione,” sentenzia la maggioranza dei senegalesi. “Sarebbe più utile recuperare i soldi, ma la famiglia Wade non lo permetterà mai”.
Decido di fare un piccolo test per misurare l’indice di gradimento del presidente. Indosso una maglietta con la stampa del faccione serio serio di Macky Sall, che Babacar, uno dei suoi supporter più accaniti a Saint Louis, mi ha regalato alle scorse elezioni e impiego la domenica pomeriggio a girare per Dakar.
Il test sembra funzionare. Tutti quelli che incontro dicono che hanno votato per lui, ma che ora vogliono vedere realizzate le promesse di cambiamento. Solo il guardiano del faro di Mamelles mi prende in giro e mi dice ironico che la Tamkharite, la festa mussulmana per l’inizio del nuovo anno, celebrata in tutto il Senegal con piattoni di cous cous e processioni casa per casa di bambine vestiti da uomini (e viceversa), tutti armati di tamburi per chiedere doni di caramelle e riso, durava fino a sabato notte. E quindi cosa ci faccio in giro ancora mascherato?
Maurizio Polenghi – Dakar