In sei giorni di guerra israeliana sulla Striscia di Gaza non si è nelle condizioni di fermarsi un momento per fare un bilancio delle vittime e mentre scriviamo dei 115 palestinesi assassinati, dei circa 900 feriti, degli enormi danni materiali e dell’orrore tutt’intorno, in queste ore le riprese video mostrano una Striscia di Gaza sotto attacco israeliano ininterrotto. E si apprende ora della notizia di un nuovo raid aereo a nord, a Bayt Lahiya, con 4 palestinesi uccisi.

Aree civili vengono colpite in pieno; altri edifici abitati da famiglie sono stati bombardati ieri da Israele insieme ad uno stadio di calcio e ad altre stazioni di polizia.

Gaza insomma, è davvero il laboratorio degli esperimenti militari e politici dello Stato di Israele per il quale, sembra, i palestinesi sono sacrificabili a qualunque prezzo.

Solo nella giornata di ieri 33 palestinesi sono stati assassinati e in totale, dal 14 novembre, in questo massacro hanno perso la vita 30 bambini al di sotto degli 8 anni, compresi bimbi di appena 8 mesi, 10 donne e 12 anziani.

Ogni giorno che passa, sale il numero delle vittime e pare aumentare pure quello dei siti presi di mira a Gaza dove, a causa di assedio e densità di popolazione non è valido parlare di “danni collaterali”. Oltre mille i siti bombardati ieri.

La scorsa notte erano disposti al di là del confine con Gaza 40mila soldati israeliani, e l’invasione da terra pare essere stata posticipata di 24 ore perché sospesa all’esito di un tregua mediata da Egitto insieme a Qatar e Turchia.

Dal primo round di consultazioni di ieri al Cairo è emerso un equilibrio politico cambiato rispetto alla netta asimmetria che ha sempre caratterizzato la dialettica tra le parti e ciò vale non solo per l’intensità nel lancio di razzi da Gaza, finora oltre mille, 300 dei quali abbattuti dal sistema anti-missile.

Se dovesse essere così, ne avremo conferma al momento della pubblicizzazione della decisione sulla tregua.

Scontri, arresti e due palestinesi uccisi in Cisgiordania.

Sale la rabbia dei palestinesi rinchiusi da anni tra cemento e ferro di muri, barriere e filo spinato nella Cisgiordania occupata. Duri scontri nei pressi della Tomba di Rachele, a Betlemme, hanno portato a numerosi feriti tra i manifestanti. Il giorno prima circa 60 palestinesi erano stati arrestati e due palestinesi gravemente feriti dai militari israeliani hanno perso la vita: Hamdi Jawwad al-Falah di Hebron e Hassan at-Tamimi a Ramallah.

Incerta una nuova Intifada che partendo dalla solidarietà con Gaza riesca a riproporre una lotta per la fine dell’occupazione israeliana. Nell’ultimo decennio gran parte della leadership è stata neutralizzata da Israele. Quando non vengono allontanati con vere e proprie decisioni di deportazione, vengono incarcerati o eliminati fisicamente e in Cisgiordania da lungo tempo non ci sono i punti di riferimento per una ribellione coordinata e avente precisi obiettivi politici e militari.

Dall’orrore di Gaza alla guerra elettronica

La guerra è quella che si sta consumando sul campo; è data della brutalità dell’occupazione militare di ogni giorno e, oggi più che mai, è quella del sangue versato a Gaza. Su questo nessun dubbio.

E se al centro della violenza di sempre c’è la terra palestinese, fatta oggetto di furto e sfigurata da occupazione e piani di pulizia etnica, sul Web si combatte un conflitto per la conquista dell’opinione pubblica.

Per Israele la missione della guerra elettronica è data dalla raccolta del maggior consenso possibile a sostegno dalla propria propaganda. Per i palestinesi, nel mezzo del silenzio politico-diplomatico internazionale per i crimini che Israele torna a commettere a Gaza, Internet è uno strumento determinante per mobilitare le masse contro questo orrore.

S’è già guadagnato una certa celebrità il messaggio di Anonymous, responsabile di aver messo fuori servizio numerosi siti Web israeliani, compresi quelli di banche e del ministero degli Esteri, subito ripristinato. Anonymous sostiene di averlo fatto in segno di vendetta per la guerra su Gaza e di avvertimento quando Israele si era promesso di tagliare fuori Gaza da ogni comunicazione con l’esterno, quindi anche da Internet.

Oggi i Social Media sono un campo di battaglia aggiuntivo e necessario per Israele e per i palestinesi non meno di quanto non lo fu nei 22 giorni della guerra Piombo Fuso. Anche quattro anni fa, notizie dell’ultima ora, immagini strazianti e commenti avevano dominato la comunicazione sociale. Oggi è Twitter a farla da padrone, piattaforma che permette di mandare in rete flussi di notizie e Breaking News con rapida diffusione dal campo verso il mondo.

Tra i fatti più sensazionali sul fronte Internet vi è stata la divulgazione del video dell’assassinio del leader della resistenza palestinese, Ahmad Al-Ja’bari, atto che ha fornito a Israele la giustificazione per aggredire Gaza nonostante fosse in atto una tregua che lo stesso Al-Ja’bari stava sostenendo.

Sospeso per alcune ore, Google che è proprietario di Youtube, ha deciso di ripristinarlo, facendo traballare con tale decisione questioni di natura legale ed etica, dal momento che si è trattato di un assassinio mirato, illegale e, soprattutto, è stato un atto di violenza libera e deliberata da responsabili di Stato.

#“IsraelUnderFire”

Già nella precedente guerra su Gaza, Israele aveva allestito sale operative speciali occupate da militari competenti, blogger e volontari per la gestione dei Social Network. Oggi come allora, il loro compito è diffondere una versione della notizia e di mantenerla viva a garanzia della propaganda israeliana.

Il messaggio di “Colonna di nuvole”, operazione militare in corso a Gaza, denominata a breve distanza dal suo lancio “Pilastro di difesa”, doveva essere il seguente: “Hamas ha rotto la tregua e Israele risponde per autodifesa e per quella dei suoi cittadini respingendo il lancio di razzi di lungo raggio provenienti dalla Striscia di Gaza”.

Ad appena 24 ore dall’offensiva, l’account Twitter dell’esercito israeliano contava oltre 50mila seguaci, altrimenti detti “Followers”.

Tra i primi messaggi che si sono letti, c’è stato il consiglio rivolto a leader e militanti di Hamas a non uscire in pubblico poiché sarebbero stati certamente eliminati, e un’immagine dallo sfondo rosso di Al-Ja’bari, con su scritto “eliminato”.

I militari israeliani hanno in gestione pure un album Flickr, un account Facebook e uno in inglese su Tumblr che presto, pare, uscirà in versione spagnola.

Sono tutti strumenti della HaSbara israeliana, campagna per il mantenimento delle relazioni con il pubblico a sostegno della versione politico-istituzionale israeliana amministrata come dipartimento parte dell’esercito.

#“GazaUnderAttack”

All’avvertimento diretto ai propri membri e sostenitori, Hamas e le brigate Al-Qassam avevano risposto sul Web “Raggiungeremo i vostri leader e soldati ovunque essi siano. Avete aperto da voi e per voi le porte dell’inferno”.

Appartiene al passato il periodo in cui i suoi sostenitori esprimevano ammirazione per la resistenza con i graffiti sui muri di Gaza e del resto dei territori palestinesi occupati. Oggi il movimento di resistenza palestinese gestisce un account Facebook aggiornato con costanza, ha un sito Web multilingue e non appena viene lanciato un razzo, i giornalisti locali vengono messi al corrente tramite sms. Come avviene per i portavoce dell’esercito israeliano, anche quelli del governo di Gaza e della resistenza di Al-Qassam, intervengono personalmente su Facebook e Twitter.

Per quanto i Social Network siano centrali nella diffusione dell’informazione, nel momento in cui divengono campo di battaglia, essi divengono l’arena per l’abbattimento di quelle stesse informazioni o per la loro decostruzione, a seconda che lo faccia Israele o Palestina.

Ma a regolare il conflitto è sempre la responsabilità politica assunta a fine giornata e il resoconto del sangue versato con tanta facilità a Gaza.

L’orrore delle immagini dei bambini sfigurati, massacrati e privati del diritto alla vita vita, di interi nuclei familiari schiacciati e dispersi sotto le macerie delle proprie abitazioni sul Web diventa una guerra psicologica.

Queste immagini circolano abbondantemente e, per quanto Israele possa tentare di censurarle, difficilmente esse spariranno dalla nostra mente.