Gentile ministra Cancellieri,
abbiamo letto i suoi interventi di questi giorni, successivi alle manifestazioni del 14 novembre, e il suo impegno a identificare e punire l’agente ripreso mentre picchiava un giovane inerme. Abbiamo anche letto le sue parole sulle “mele marce” da isolare e sul fatto che la ferita del G8 di Genova del 2001 è da considerare chiusa.
Poiché abbiamo vissuto la tragica esperienza genovese e osservato da vicino come le forze di polizia e le istituzioni ne hanno affrontato le conseguenze, ci permettiamo di scriverle per esprimere le nostre forti perplessità sulle sue parole e le sue scelte.
Quel che è accaduto in varie città italiane il 14 novembre a nostro avviso dimostra che la ferita del G8 di Genova è tutt’altro che chiusa. L’episodio che l’ha colpita e che l’ha spinta a promettere l’identificazione dell’agente responsabile della violenza, è una precisa eredità del luglio genovese. In quei giorni vi furono decine di episodi del genere, con inseguimenti e pestaggi eseguiti in strada, alla luce del sole, non sempre ripresi dalle telecamere. Tutti i casi che è stato possibile portare in tribunale, con cause civili avviate grazie alle denunce dei cittadini brutalizzati e alle testimonianze disponibili, si sono conclusi con la condanna del Ministero dell’Interno al pagamento di risarcimenti. Un’umiliazione per le istituzioni, ne converrà. Ma che non ha portato ad alcuna autocritica, ad alcun intervento di riforma.
Da Genova G8 in poi, lo schema d’intervento delle forze dell’ordine – impiego smodato dei lacrimogeni, uso sproporzionato della forza, ricorso continuo alla carica di cortei e manifestazioni, utilizzo sistematico dei manganelli anche contro persone inoffensive – si è ripetuto innumerevoli volte. E forse non poteva essere altrimenti, se pensiamo che in undici anni la polizia di stato, i carabinieri, la guardia di finanza, il ministero degli Interni non hanno mai rinnegato le scelte e i comportamenti del luglio 2001, che pure produssero una gestione dell’ordine pubblico consegnata ai libri di storia come un disastro senza precedenti.
Gentile ministro, non è questione di singoli agenti che pestano un cittadino inerme, né di mele marce che compiono questo o quell’abuso: quel che è accaduto il 14 novembre è il frutto di ciò che fu seminato undici anni fa e che si è pervicacemente coltivato fino ad oggi.
I comportamenti di allora sono stati legittimati con l’inerzia, con le promozioni reiterate dei responsabili dell’ordine pubblico e addirittura dei dirigenti indagati, processati e infine condannati. Nonostante alcune sentenze importantissime, come nei casi Diaz e Bolzaneto, a chi lavora in polizia – diciamolo chiaramente – è arrivato un messaggio di legittimazione e impunità per tutto ciò che avvenne a Genova. Quindi è impossibile stupirsi per quel che è avvenuto il 14 novembre e in tante altre occasioni.
Dobbiamo anche ricordarle, gentile ministro, che nel suo stesso governo, con il ruolo di sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega alla sicurezza, siede il capo della polizia di allora, dottor Gianni De Gennaro, tutelato e promosso e infine assurto a ruoli di governo nonostante una gestione dell’ordine pubblico, nel luglio 2001, che ha gettato discredito a livello internazionale sul nostro paese, come hanno scritto i giudici di Cassazione nella sentenza Diaz.
E’ anche impossibile dimenticare che nel luglio scorso il dottor De Gennaro, nel commentare le condanne definitive di alti funzionari nel processo Diaz, oltretutto sospesi per cinque anni dai pubblici uffici, ha espresso pubblica solidarietà nei loro confronti, dando un ulteriore contributo a quella scellerata operazione di legittimazione delle sciagurate condotte del 2001.
Per queste ragioni, gentile ministro, le sue parole e le sue decisioni non ci tranquillizzano e anzi ci allarmano: le forze di polizia italiane, per recuperare la credibilità perduta in questi anni e per abbandonare uno “stile” che conduce inevitabilmente a scene come quelle viste lo scorso 14 novembre, avrebbero bisogno di ben altri interventi, in un paese che ha nemmeno una legge sulla tortura e in cui gli agenti in servizio di ordine pubblico non indossano su caschi e divise codici di riconoscimento.
Oggi è più urgente che mai una vera, profonda riforma democratica delle forze dell’ordine, ed è anche necessario, per prevenire nuovi abusi nel breve periodo, un richiamo forte, solenne, alle responsabilità imposte dal dettato costituzionale alle forze di polizia, che devono essere garanti delle libertà civili e della Costituzione e non braccio armato di qualsivoglia potere. Oggi è in discussione l’effettiva possibilità di esercitare il diritto alla manifestazione del proprio pensiero.
Vittorio Agnoletto, Enrica Bartesaghi, Haidi Giuliani, Lorenzo Guadagnucci