Nel 2011 in Italia sono stati denunciati 34.000 medici ospedalieri e negli ultimi 15 anni le richieste di
risarcimento sono aumentate del 250%.
Il medico è un essere umano e come tale può sbagliare ma è giusto che paghi se commette errori.
Ma poiché nell’85% dei casi il medico viene assolto al termine dei giudizi che nel nostro paese possono
durare 10-12 anni, si verificano cause pendenti e notevoli stress per medici e pazienti.
L’idea di poter disporre di un organismo di mediatori che possano interporsi fra il paziente e il medico
prima di rivolgersi all’avvocato non è stata mai applicata e forse a ragione poiché nel nostro litigiosissimo
paese questo aumenterebbe di migliaia di volte i contenziosi.
Bisogna capire che la medicina non è una scienza matematica e i medici, come gli infermieri, non sono
ingegneri che valutano il loro giudizio solo su dati tecnici. Per di più in molti campi il loro operato si svolge
in condizioni improvvise di estrema urgenza, spesso del tutto imprevedibili e, nei tempi di spending review,
spesso sotto organico, mal pagati e con strumentazioni sempre più guaste o obsolete.
Quando un paziente a torto o a ragione è scontento del risultato si scatena la caccia al colpevole e la
legislazione attuale in Italia, come ha dimostrato il giudizio sui sismologi dell’Aquila, tende non a verificare
nessi di causa ma semplicemente pesca la persona coinvolta più indifesa.
Al contrario spesso gli errori sono insiti nel sistema che però non viene mai messo sotto accusa non
essendo un soggetto legalmente perseguibile.
Questi errori di sistema potrebbero essere facilmente trovati ed eliminati se di fronte a un errore ci fosse
la possibilità di denunciarlo senza pagare dazio ma questo non avviene sia perché non sussiste in Italia,
come all’estero, un organismo di autodenuncia che tuteli il soggetto sia perché il sistema, in quanto tale,
essendo sotto tutela politica, si difende negando il fatto e volgendo tutta la responsabilità sull’operato
dei singoli o attuando una serie di censure e punizioni nei confronti del soggetto che offuschi la fama
dell’organizzazione.
A causa di questa situazione, le assicurazioni tendono a non voler più assicurare medici e infermieri, a
disdire le polizze appena si profila un’accusa o a disdirle semplicemente per calcoli statistici. In particolare i
chirurghi generali, i ginecologi e gli ortopedici, infatti, che risultano gli specialisti più facilmente accusati  si trovano talvolta a operare “senza rete” cioè senza assicurazione per danni a terzi proprio
per questa situazione.
Fin qui sembrerebbe solo un problema dei medici ma, purtroppo, questa situazione determina un effetto
a boomerang su tutta la società e cioè crea il meccanismo della medicina difensiva che presto diventerà
insostenibile per il sistema sanitario nazionale come lo conosciamo.
Per medicina difensiva intendiamo quel meccanismo per cui l’operatore sanitario di fronte alla possibilità di
essere posto sotto accusa si tutela preventivamente in tre modi concomitanti:
1) Aumentando gli esami clinici e diagnostici di controllo con aumento della spesa sanitaria procapite
2) Rinunciando a intervenire nelle situazioni più rischiose
3) Seguendo pedissequamente i protocolli ospedalieri anche se si intravedono soluzioni più pratiche,
meno costose, più semplici e più adatte al singolo caso.

Un esempio plateale di questa situazione è l’utilizzo degli antibiotici nei giorni precedenti un intervento
ambulatoriale come quello della cataratta.
L’intervento di cataratta prevede l’asportazione del cristallino che è una lente trasparente posta all’interno
dell’occhio tramite laser e ultrasuoni ed è necessario che l’interno dell’occhio non sia contaminato da germi
che provengono dall’esterno.
Come è noto gli antibiotici sono sostanze adatte a inibire la crescita o uccidere batteri e altri
microrganismi. Gli antibiotici sono a totale prescrizione del sistema sanitario nazionale e come tali pesano
sul nostro SSN , sono a rischio di effetti collaterali e possono nel tempo provocare resistenze batteriche
per cui la ricerca clinica, con costi enormi, cerca sempre di trovare nuove soluzioni e nuovi preparati
per combattere il fatto che i germi nel tempo diventano sempre più facilmente indenni all’azione degli
antibiotici.

Oltre, quindi, a disinfettanti da applicare il giorno dell’intervento, tutti i protocolli clinici e ospedalieri
italiani prevedono l’utilizzo di colliri antibiotici da utilizzare nei tre giorni precedenti l’intervento stesso con
l’idea che è utile ridurre la quantità batterica prima dell’intervento. In realtà qualunque oculista sa che
1) Tale trattamento è del tutto inutile
2) Questo comportamento, anche se raramente, può creare allergie locali all’occhio del paziente con
conseguente rimando dell’operazione
3) Questa tattica favorisce l’aumento esponenziale delle resistenze batteriche
4) Gli antibiotici comunque costano

Ma allora perché si fa?
Si fa per la medicina difensiva.
Infatti i protocolli prevedono che tale pratica sia eseguita e se un ospedale, una clinica o un oculista non la
mettesse in pratica, naturalmente non succederebbe nulla.
Ma se succedesse qualcosa, qualsiasi cosa di anomalo durante o dopo l’operazione e l’organizzazione
o l’oculista non avessero prescritto la terapia antibiotica dei tre giorni pre-intervento, il giudice
condannerebbe con sicurezza perché il protocollo non è stato rispettato anche se la causa è tutt’altra e
magari dovuta a cause estranee (e ce ne sono molte) all’organizzazione o all’operatore.
E quindi?
E quindi continueremo a seguire questa prassi nefasta finché non ci renderemo conto tutti assieme che la
medicina difensiva è negativa per tutti prendendoci la briga di capire come si sia giunti a questo punto ed
evitare che gli operatori sanitari la mettano in azione per autotutela.