Christina Maria zum Felde,germanista, si dedica in special modo a approfondire le sue conoscenze di filosofia, sociologia e storia del Diritto; “Origine e sviluppo del nuovo umanesimo planetario” è il titolo della sua relazione al Simposio “Fondamenti della Nuova Civiltà”.
A cosa si riferisce quando parla di “umanesimo planetario” ?
Con la definizione di “umanesimo planetario” intendo la rieducazione dell’umanità globale alla sua essenza propriamente umana. Come dice Edgar Morin, il mondo è dominato dalla scienza economica, la quale, ormai tanto sofisticata da essere diventata regina e guida delle nostre politiche, non riesce a concepire e a comprendere tutto ciò che non è calcolabile, qualificabile: passioni, emozioni, gioia, infelicità, credenza e speranza, che sono poi la carne dell’esperienza umana. Così la nostra formazione scolastica, universitaria, professionale, ha fatto di noi degli uomini incapaci di farsi carico della condizione di cittadini dalla Terra, oggi divenuta necessaria. Da questa “incapacità” Morin fa scaturire l’urgenza vitale di “educare all’era planetaria” tramite quelle che egli considera “tre riforme interdipendenti” del nostro modo di conoscere, del nostro modo di pensare e dell’insegnamento. In questi termini l’umanesimo del terzo millennio persegue l’intento d‘importanza capitale di ri-umanizzare l’individuo nella sua autopercezione , nel suo relazionarsi agli altri e al mondo che, lungi dal voler costituire pretesto per mere disquisizioni teoretiche, vuole promuovere rinnovamenti culturali ed etici autentici.
La sua relazione verte sugli studi e le proposte di Johann Gottfried Herder, potrebbe spiegare al grande pubblico l’opera di questo autore?
Johann Gottfried Herder (1744-1804) è noto come filosofo, teologo e letterato tedesco. La sua opera viene associata con l’Illuminismo, lo Sturm und Drang, il Classicismo di Weimar. Il suo poliedrico pensiero filosofico, etico, estetico e antropologico tuttavia difficilmente si può ridurre ad un’unica e generica classificazione. Certo l’interesse primario di Herder fu sondare l’essenza e lo scopo dell’umano divenire. Nelle Lettere per il promuovimento dell’Umanità scrive: “Umanità é il carattere della nostra specie; ma esso ci é innato solamente come predisposizione, e propriamente richiede di venir educato. Eppure é necessario ch’esso sia, nel mondo, la meta delle nostre aspirazioni, la somma delle nostre azioni, il nostro valore: non conosciamo infatti nessuna angelicità insita nell’uomo, e se il demone che ci governa non é un demone umano, allora noi diventiamo tormentatori degli uomini. L’elemento divino che c’é nel nostro genere é dunque l’educazione all’umanità. […]
Umanità é il patrimonio e il risultato di tutti gli sforzi umani, é per così dire l’arte della nostra specie. L’educazione all’umanità é un’opera che deve essere continuata incessantemente; altrimenti tutti noi, che si appartenga ai ceti superiori o a quelli inferiori, ripiombiamo nella rozza animalità, nella brutalità.” L’attualità del pensiero herderiano risiede proprio in questa individuazione della funzione umanizzante dell’educazione. Un pensiero presente fin dagli scritti giovanili, volti ad incidere sulla mentalità della società coeva con l’intento di sottrarre l’essere umano alla dominante visione meccanicista e determinista, valorizzandone la libertà all’autorealizzazione, alla creatività, alle scelte. Nella concezione storicista, inaugurata da Herder, si attua in altre parole il passaggio dalla visione dell’uomo universale, dell’essere umano in senso generale, a quello storicamente dato, particolare e differenziato. Da questo momento in poi l’individuo sarà considerato dall’autore come un essere riconoscibile non più da ciò che è o rappresenta all’interno della società , ma unicamente in virtù delle azioni che compie. E se l’autore afferma con ciò la nascita dell’operosità propria dell’emergente classe borghese, esalta anche l’impeto produttivo tipico dell’uomo moderno. Tuttavia Herder si guarda bene dall’assolutizzare lo sforzo creativo dell’individuo, che su questa via giungerebbe a perdere l’essenza stessa della vita, preso dalla vana autoesaltazione, che vede solo se stessa, o dall’accanita accumulazione di ricchezze. Consapevole della duplice dimensione psico-fisica dell’individuo, l’autore ribadisce quanto sia fondamentale per il benessere di corpo e spirito alternare in maniera regolare la fatica e il riposo, concepiti come strettamente interdipendenti, funzionali l’uno all’altro. Il distacco dalle fatiche quotidiane non è però per lui mai abbandono ozioso, quanto godimento consapevole delle gioie autentiche della vita, fonte di rigenerazione mentale e fisica, ripristino di tutte le energie al fine di misurarsi in nuove imprese. Solo l’avvicendamento organico tra il desiderio del “fare” e l’esigenza del “godere” ha la facoltà di conferire senso e compiutezza all’esistenza dell’uomo. Interrompere questo ritmo vitale – modulato sul ritmo sistolico e diastolico della respirazione – è sacrilegio, un delitto che l’individuo commette contro se stesso perché “in questo contrarsi e dilatarsi, agire e riposare, risiede salute e felicità della vita”. Una massima che ci rende il pensiero herderiano più attuale che mai, fonte di riflessione preziosa per chi crede nella possibilità e nel dovere di umanizzare la nostra società planetaria.
A cosa si riferisce Herder nel parlare di “visualità tattile” ?
E’ una modalità percettiva che l’autore elabora in età giovanile tra il 1768 e il ’69 nella prima versione della sua Plastica (1778). Si tratta di una estetica della tridimensionalità che Herder contrappone alle riduzioni bidimensionali filtrate dalla vista, senso egemone della cultura illuminista. L’esigenza herderiana di contrastare tale “cultura dell’occhio” nasce dalla consapevolezza che il passaggio dal mondo antico a quello moderno, creando una cesura irreversibile tra l’oralità e la scrittura, ha prodotto una vera e propria sclerotizzazione della vista. Come scrive Walter Ong, con lo sviluppo della tecnicizzazione della parola a seguito dell’invenzione della stampa, tale senso si è scisso dalla sua componente propriamente sensoriale, divenendo sempre più “mentale”. E Herder è tra i primi a intuire le problematiche dell’uomo “detribalizzato per il quale i valori visivi sono prioritari nella organizzazione del pensiero e dell’azione”.1Archeologia del genere umano (1769) descrive le conseguenze di tale processo nell’esempio dello scienziato che, divenuto appunto tutto occhio, si mostra ormai incapace di leggere il grande libro della natura se non come una superficie di cui ogni elemento va sottoposto a scrupolosa analisi e scomposizione. L’astrazione visiva, prosegue, assumendo il punto di vista fisso ed unilaterale della pittura, ha così svuotato il mondo della sua reale profondità, proiettandolo sul piano bidimensionale del tableau, e ridotto l’individuo a mera personificazione di principi morali , a esangue figura allegorica priva di ogni individuazione psicologica. Per l’autore occorre contrastare tali fuorvianti e sfalsate percezioni visivo-pittoriche con il recupero di quella che anche Nietzsche definirà l’originaria “predisposizione plastica degli occhi”: essa viene fondata da Herder sul principio creativo della scultura, arte tattile per eccellenza, ed è caratterizzata dal punto di vista della molteplicità. Mentre il quadro con la sua prospettiva fissa induce alla contemplazione statica, la statua, fruibile da angolazioni diverse, spinge l’osservatore a muoversi lungo l’intero suo perimetro e a girarvi intorno: solo così egli potrà vederla e comprenderla nella sua interezza. Con ciò Herder fa saltare l’immagine piana del reale – che egli definisce “falsa e onirica” – ripristinandone la “verità corporea”. L’essenza tridimensionale della statua diviene così al contempo metafora della complessità emotiva dell’individuo – irriducibile ad un unico sentimento prefissato – e invito a percorrere il mondo dal di dentro, al fine di impossessarsene e di goderne. Per l’autore si trattava con ciò di liberare l’individuo settecentesco da costrizioni morali e sociali innaturali, attuate da uno stato assolutista e sostenute dall’etica neoclassica dello stoicismo. Ma la sua estetica della tridimensionalità va oltre la polemica epocale: egli era consapevole che l’umanità, inesorabilmente destinata a progredire nell’astrazione visiva, avrebbe continuato a ridurre sempre di nuovo la statua a mero concetto, teoria o pregiudizio, svuotandola ogni volta di quella complessa solidità corporea di cui è segno tangibile. In questo senso l’approccio della visualità tattile assume un ruolo determinante anche all’interno del nuovo umanesimo e rimane funzionale alla creazione di una società senza vendetta: la statua, in altre parole, diviene metafora di ogni popolo della nostra comunità planetaria, dell’ >>altro<< che è diverso da noi, e che possiamo comprendere e accettare davvero solo se diveniamo capaci di compiere quella circonferenza ideale attorno ad essa, alla quale esorta Johann Gottfried Herder!