Amnesty International ha condannato l’ultima dispersione di una protesta pacifica avvenuta nella capitale Baku e ha reiterato la richiesta alle autorità dell’Azerbaigian di abolire il divieto di manifestazioni nel centro della città.
Il 20 ottobre, circa 200 attivisti dei movimenti giovanili e dell’opposizione si sono radunati in piazza della Fontana per protestare contro la corruzione in parlamento, un mese dopo la pubblicazione di un video realizzato con telecamera nascosta, in cui la deputata Guler Ahmedova chiede un milione di dollari per un seggio in parlamento.
Gli organizzatori delle proteste avevano richiesto l’autorizzazione a tenere la manifestazione nella centrale piazza della Fontana, ma le autorità hanno detto di no sostenendo che l’evento avrebbe disturbato le attività ricreative e il normale svolgimento delle attività commerciali. In alternativa, le autorità hanno proposto lo stadio Bibi Heybat, nella periferia di Baku. Gli organizzatori hanno rifiutato l’offerta, secondo loro inadeguata, e hanno proseguito con la protesta non autorizzata.
Le forze di polizia hanno circondato la piazza prima dell’orario d’inizio, fissato per le 15, iniziando ad arrestare noti attivisti già la mattina, all’uscita di casa.
A protesta iniziata, secondo i gruppi dell’opposizione la polizia è intervenuta sgombrando la piazza e arrestato almeno 73 persone; 13 attivisti, considerati i promotori dell’iniziativa, sono stati posti in detenzione per un massimo di 10 giorni per “disobbedienza agli ordini della polizia” e per aver partecipato a una “protesta illegale”.
Nel corso dell’intervento, gli agenti di polizia hanno trascinato per terra per vari metri Natavan Salimzada, provocandole varie contusioni al busto e ha ferito a un braccio Shakir Abbasov, che ha dovuto ricorrere a cure mediche urgenti.
Altre 36 persone erano state nel frattempo arrestate al quartier generale del partito d’opposizione Musavat (Uguaglianza). Gli agenti di polizia hanno circondato l’edificio facendo poi irruzione, individuando e arrestando coloro che pensavano fossero gli organizzatori della dimostrazione, in modo da impedirgli di partecipare.
Secondo i reporter del quotidiano “Azadliq”, che si trovavano in piazza della Fontana, la polizia ha preso di mira i giornalisti impedendo loro di girare filmati. Islam Shixaliyev di “Azadliq” ed Elchin Aliyev di “Baku News”, sono rimasti in prigione per l’intera durata della protesta.
Tra gli arrestati figurano gli ex prigionieri di coscienza, Tural Abbasli, Rufat Hajibaili e Ahad Mammadli, precedentemente condannati a periodi di detenzione tra un anno e mezzo e a due anni e mezzo per aver preso parte alle proteste del 2 aprile 2011, poi rilasciati per grazia presidenziale il 22 giugno 2012 e in seguito alle pressioni internazionali esercitate durante il concorso musicale Eurovision.
Amnesty International ritiene che il diniego ingiustificato del permesso di radunarsi in qualsiasi luogo del centro di Baku violi il diritto dei manifestanti alla libertà di assemblea pacifica. Tale divieto generalizzato impedisce ai dimostranti di esprimere le loro opinioni in un luogo visibile e pubblico, penalizzando efficacemente una riunione pacifica. Questo, insieme al pestaggio dei manifestanti, viola in modo evidente gli obblighi internazionali dell’Azerbaigian sui diritti umani.
Amnesty International chiede alle autorità dell’Azerbaigian di rilasciare immediatamente tutti coloro che sono in carcere per aver esercitato il loro diritto di partecipare a manifestazioni pacifiche e di consentire che le manifestazioni si svolgano in luoghi pubblici e visibili all’interno del perimetro di “vista e udito” del loro pubblico di riferimento.
Ulteriori informazioni
Le autorità azere stanno criminalizzando le proteste antigovernative, vietando le dimostrazioni e imprigionando gli organizzatori e i partecipanti. La polizia ha frequentemente usato una forza eccessiva per disperdere proteste pacifiche ma non autorizzate ufficialmente. Minacce e intimidazioni contro i difensori dei diritti umani, unite a provvedimenti legislativi e amministrativi, hanno causato la chiusura o il rifiuto della registrazione a gruppi della società civile impegnati per la democrazia e i diritti umani.
Alcuni giornalisti sono stati picchiati, sottoposti a maltrattamenti e rapiti, mentre la diffusione dei media indipendenti è stata limitata da leggi che vietano alle emittenti straniere di trasmettere sulle frequenze nazionali.
Nuove forme di esercizio della libertà di espressione, come internet e i social media, sono sottoposte a un assedio continuo. Blogger e attivisti vengono perseguitati e imprigionati sulla base di accuse inventate. Il governo sta studiando iniziative per porre sotto controllo e monitorare la Rete.
La dispersione della protesta del 20 ottobre segue all’arresto, avvenuto il 29 settembre, di uno dei leader del Movimento Civico NIDA, Zaur Gurbanli, per avere preso parte alla preparazione di volantini e poster di reclutamento.
Egli è stato trattenuto 15 giorni in carcere per resistenza all’arresto, ma numerosi testimoni hanno raccontato che aveva cooperato pienamente con la polizia. È stato licenziato dall’agenzia di credito presso cui lavorava. Fare in modo che gli attivisti perdano il loro posto di lavoro è una pratica di solito usata dalle autorità per punire le voci critiche.