Un migliaio di persone hanno affollato ieri sera la basilica dei Frari di Venezia per assistere al dibattito su “Immaginazione e spiritualità: per una conversione ecologica della società” evento culturale parallelo alla 3° Conferenza internazionale sulla decrescita. Un dibattito moderato dalla teologa e pastora valdese Elisabetta Ribet e al quale hanno preso parte Serge Latouche, Alex Zanotelli e Marcelo Barros.
Serge Latouche, tra i massimi esponenti della teoria della decrescita.Ieri nella basilica di Frari di Venezia, Serge Latouche, tra i massimi esponenti della teoria della decrescita, era seduto tra padre Alex Zanotelli, missionario comboniano, ora al rione Sanità di Napoli, noto per il suo impegno sociale e nei movimenti, e Marcelo Barros, brasiliano, teologo della Liberazione, priore del monastero de la Annunciation Goìas Veldho. Gli oratori si sono detti subito meravigliati della grande affluenza in una chiesa “finalmente luogo pubblico di confronto” ha detto padre Zanotelli.
L’incontro, organizzato da Bilanci di Giustizia, è stato introdotto da don Gianni Fazzini, della Pastorale degli stili di vita e moderato da una donna, la teologa e pastora valdese Elisabetta Ribet che ha sollecitato gli ospiti sui temi più vari, dalla fede al cambiamento, dall’immaginario all’ecologia, dalla speranza alle azioni concrete che non si possono più rimandare.
“De-colonizzare l’immaginario”, come ha più volte scritto nei suoi testi, significa per Latouche “prendere coscienza che le nostre menti sono colonizzate dall’idolatria dell’economia alla quale l’Occidente si è convertito con la modernità. Ora è tempo di de-economicizzare la nostra mente”.
Marcelo Barros si è detto convinto che movimenti come quello della decrescita e dei Bilanci di giustizia possono cominciare questa opera di “conversione”, possibile “tornando a parlare la lingua del Vangelo. Io vengo da un paese dove gli indios sono stati schiavizzati, quindi, quando ci chiediamo se il cristianesimo può decolonizzare l’immaginario, dobbiamo intenderci su quale cristianesimo”.
Per Zanotelli siamo un po’ tutti prigionieri del sistema e “solo quando ne esci ne vedi i limiti”. Il missionario ha accennato alla sua esperienza a Korogocho, baraccopoli di Nairobi, in Kenya: “Per me ci sono voluti 12 anni di lavoro lì per capire: il futuro del Cristianesimo dipende della abilità dei cristiani di assumersi le proprie responsabilità nei confronti della Terra, perché salvare la Terra, la prima Bibbia che abbiamo, è parte essenziale del salvare la presenza divina nel mondo. Se la tribù bianca non si converte, non c’è speranza per nessuno”.
Quanto alla speranza, ciascuno la invoca nella propria religione, con evidenti trasversalità: la sacralità della natura accomuna il pensiero della decrescita (“abbiamo perso la capacità di meravigliarci della bellezza della natura – ha detto Latouche – come delle opere dell’uomo: il computer è un oggetto straordinario, ma come possiamo meravigliarci di qualcosa che dopo 6 mesi è già obsoleto?) a quello cristiano, anche se, ha aggiunto Zanotelli “in tanti anni mai nessuno mi ha confessato un peccato contro l’ambiente”. Zanotelli intravede segni di speranza in tante piccole esperienze che, se diventano mobilitazione, come è successo per i referendum sull’acqua, producono risultati. “La speranza nasce dal basso, dall’alto non aspettiamoci più nulla”, ha chiosato il missionario.
Ampio il confronto sul Sud del mondo, che per ragioni diverse ha plasmato il pensiero dei tre interlocutori. Latouche ha ricordato che è stata la sua esperienza professionale e di vita prima in Congo poi nel Laos a fargli abbandonare la fede nella religione dello sviluppo che negli anni Sessanta permeava tutta la cultura occidentale. “Nel Laos non c’era né sviluppo né sottosviluppo. C’era piuttosto la grande gioia di vivere di questo popolo che non aveva bisogno di lavorare tanto per la propria sussistenza e aveva molto tempo da dedicare allo svago. Lì ho capito che il mio lavoro di ‘sviluppista’ era quello di distruggere l’equilibrio di una società tradizionale e creare dei bisogni in funzione del mercato. Allora sono tornato in Francia e ho cominciato il mio percorso di critica allo sviluppo che ho poi approfondito ancora in Africa dove si può vivere bene anche fuori dall’economia, fuori dalla società dei consumi che genera solo frustrazione”. Barros ha invece sottolineato l’importanza della rinascita dei movimenti delle popolazioni indigene in America Latina che ha dato nuova dignità a popoli che negli anni Settanta venivano dati per estinti che invece “stanno dimostrando grande vitalità”.
“La rivoluzione bolivariana non è di Chavez, ma del popolo. Un giorno, in uno stadio affollato con 28 mila persone, un soldato indio mi ha chiesto “sei tu il prete che benedice la nostra rivoluzione? In quel momento ho avuto una rivelazione: non è la rivoluzione che va benedetta, è la rivoluzione che benedice noi, la rivoluzione è sana, spirituale”.
Tante le indicazioni sulle azioni da non procrastinare: non perdere la gioia, la convivialità, l’affetto, la fratellanza per Barros; chiedere perdono ai giovani per lo scempio ambientale che è stato fatto negli ultimi decenni e dare loro fiducia, ha detto padre Zanotelli, mentre l’ecologista Zanotelli ha chiesto la riduzione degli imballaggi (“in Germania gli stessi prodotti in vendita in Italia li trovate con meno incartamenti”) e delle bottiglie di plastica; Latouche invita a buttare la televisione (“il vero strumento della colonizzazione dell’immaginario”) e a fare un po’ di tecno-digiuno: vivere senza cellulare, senza automobile, senza computer “è un atto politico”.