L’Italia consuma più di quanto il proprio suolo agricolo è in grado di produrre. Il nostro Paese ha infatti un deficit di suolo agricolo di quasi 49 milioni di ettari e riesce a coprire poco più dei consumi di tre italiani su quattro. La prima causa di questa perdita è la cementificazione.
Respingere l’abbandono dell’agricoltura, ma soprattutto impedire la perdita di suolo e bloccare la cementificazione sono gli obiettivi che l’Italia deve darsi per tutelare il comparto agricolo. Obiettivi che dovrebbero ritrovarsi nelle politiche europee, in primis nella PAC (la Politica Agricola Comune) e quindi nei nuovi Piani di sviluppo rurale che condizioneranno il modo di fare agricoltura in Italia nei prossimi anni. Uno dei principali punti deboli del settore resta sempre la diminuzione della superficie agricola utilizzata (SAU).
Dagli anni Settanta la superficie – che comprende seminativi, orti familiari, arboreti e colture permanenti, prati e pascoli – è diminuita del 28%. Tra il 1971 e il 2010 si è ridotta di 5 milioni di ettari, passando da quasi 18 milioni di ettari a poco meno di 13: una superficie pari a Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna messe insieme.
A rilevarlo è il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali nel dossier Costruire il futuro: difendere l’agricoltura dalla cementificazione realizzato con la collaborazione di Inea, Ispra e Istat. Ad avere la peggio sono i terreni dedicati a seminativi e prati permanenti, da cui provengono i prodotti di base dell’alimentazione degli italiani: pane, pasta, riso, verdure, carne e latte.
L’altra questione che viene messa in evidenza in questo studio è che mentre la superficie agricola utilizzata diminuisce, la popolazione aumenta.
Se fino ad oggi è stata sostenuta la tesi secondo cui la meccanizzazione forzata, lo sfruttamento di risorse e l’aumento della produzione sono le soluzioni più efficaci per sostenere l’agricoltura e per rispondere alla domanda di cibo (negli anni ’50 un ettaro di terreno a frumento produceva circa 1,4 tonnellate di prodotto, oggi ne produce 4), il ricorso massiccio ad input esterni non si è tradotto in un effettivo vantaggio competitivo.
Come se non bastasse, la continua perdita di terreno agricolo porta l’Italia a dipendere sempre più dall’estero per approvvigionarsi di risorse alimentari basilari. L’Italia attualmente produce circa l’80-85% delle risorse alimentari necessarie a coprire il fabbisogno degli abitanti. In pratica copre poco più dei consumi di tre italiani su quattro: appena del 33% per quanto riguarda le leguminose, del 34% per lo zucchero, del 69% per le patate, del 64% per il latte e del 72% per le carni. Meglio il riso (274%), frutta fresca (126%), ortaggi (103%) e pomodoro (181%) e uova (101%).
In pratica l’Italia consuma più di quanto il proprio suolo agricolo è in grado di produrre: è quanto emerge dall’analisi del deficit di suolo agricolo, indicatore messo a punto dal Sustainable Europe Research Institute di Vienna. In base a questo studio si considera deficitario un Paese in cui il terreno agricolo utilizzato è inferiore per estensione a quello necessario per coprire i consumi della popolazione. E l’Italia ha un deficit di suolo agricolo di quasi 49 milioni di ettari: per coprire i consumi della propria popolazione avrebbe bisogno di 61 milioni di ettari di terreno agricolo utilizzato, mentre la superficie attuale supera appena i 12 milioni.
La prima causa della perdita di suolo agricolo è la cementificazione e in generale la copertura del suolo con materiali come cemento, metallo, vetro, asfalto. Secondo il Rapporto annuale Istat 2012, le superfici edificate in Italia coprono il 6,7% del territorio nazionale. La Pianura padana, ovvero l’area agricola più vasta e produttiva della Penisola, ha una percentuale media di superfici edificate pari al 16,4% del territorio.