Dopo la diffusione degli ultimi risultati che hanno consacrato il ‘dinosauro’ della politica messicana nuovamente primo partito in Messico, sebbene senza maggioranza assoluta al Congresso, il candidato sconfitto da Peña Nieto col 38,41% dei voti contro il suo 31,59%, ha confermato la volontà di dare battaglia.
Sebbene lo scrutinio ufficiale abbia comportato il riconteggio di oltre la metà delle schede relative alle presidenziali, per Amlo (com’è conosciuto popolarmente) la misura “è insufficiente”. Il Movimiento Progresista, coalizione creata attorno al Partido de la Revolución Democrática (Prd), “non transigerà nella difesa della democrazia” ha insistito l’ex sindaco di Città del Messico, già battuto alle urne per un soffio nel 2006 da Felipe Calderón in un voto che una buona fetta di messicani giudicò viziato da brogli.
Se il ricorso della sinistra fosse accolto, i legali di Amlo prevedono una sola possibilità, la convocazione di elezioni straordinarie. La legge stabilisce che il voto possa essere annullato se nel 25% o più dei seggi si ricontrassero “gravi irregolarità” determinanti per l’esito finale. Secondo l’opposizione di sinistra la compravendita di voti a favore di Peña Nieto sarebbe stata effettuata, tra l’altro, attraverso la distribuzione di buoni d’acquisto in una catena di supermercati.