Di Martin Khor*
Ci sono tuttavia presupposti per una visione più positiva di Rio+20. Ad esempio si è raggiunto un punto comune, cosa molto rara nei meeting multilaterali di alto livello. Si è riaffermata inoltre la visione precedente sullo sviluppo sostenibile, mantenendo le fondamenta della cooperazione internazionale.
Rio+20 ha spinto i diplomatici e i rappresentanti di tutti i paesi a continuare a negoziare per trovare delle soluzioni a problematiche irrisolte entro uno o due anni – inclusi temi riguardanti obiettivi di sostenibilità in finanza e tecnologia oltre all’istituzione di un nuovo forum politico sullo sviluppo sostenibile.
Il summit ha adottato un documento di 53 pagine, “The Future We Want”, il futuro che vogliamo. Ha riaffermato ciò che era stato dichiarato 20 e 10 anni fa (in occasione del primo Summit di Rio che produsse l’Agenda 21 e in occasione del Summit di Johannesburg che segnò il 10° anniversario e produsse il Piano di Implementazione).
Rio+20 ha segnato la continuazione dei negoziati in seno alle Nazioni Unite per rafforzare le istituzioni ambientaliste e lo sviluppo sostenibile e per valutare come e se destinare tecnologia e risorse finanziarie ai paesi in via di sviluppo e per fissare nuovi obiettivi sostenibili.
Se si considerano le urgenze incombenti in ambito ecologico non si può affermare che la conferenza sia stata un grande successo ma neanche il fallimento di cui molti hanno parlato.
**Gli obiettivi dello sviluppo sostenibile**
Un nuovo elemento con considerevoli implicazioni è la decisione di formulare degli obiettivi per lo sviluppo sostenibile (SDGs). Questo avverrà durante il prossimo anno grazie ad una commissione delle Nazioni Unite composta da 30 membri nominati dai governi attraverso i gruppi regionali dell’ ONU. Il Segretario Generale dovrà fornire gli imput iniziali e il supporto delle Agenzie delle Nazioni Unite ai gruppi di lavoro che sottoporranno un report all’Assemblea Generale entro l’anno prossimo.
Stabilire gli obiettivi non era nel mandato originario di Rio+20 ma vi è rientrato nel tardo 2011 grazie ad una proposta della Colombia e di pochi altri paesi. La proposta ha ottenuto poi crescente consenso divenendo un progetto reale e che sostituisse in qualche modo il tema controverso della Green Economy. Anche se è stato un processo difficile, quantomeno il concetto di sviluppo sostenibile era ben assimilato e accettato a differenza di quello della green economy.
I paesi in via di sviluppo hanno lottato per vari temi durante i dialoghi negoziali: per avere una buona definizione degli obiettivi, per garantire un approccio equilibrato tra i tra pilastri principali dello sviluppo sostenibile (economia, sociale e ambiente), per una formulazione degli obiettivi tramite un processo intergovernativo e affinché non fossero proposti ai governi dal Segretario Generale o da esperti dell’ONU senza una reale partecipazione (come nel caso del Millenium Development Goals, MDGs Obiettivi di Sviluppo del Millennio)e infine per un’interazione con il processo parallelo dell’ONU riguardante l’agenda per lo sviluppo post 2015 dopo la scadenza degli MDGs. Hanno anche scelto che non fossero stabiliti degli obiettivi specifici al Rio+20 per non bruciare le tappe sull’ approccio dell’equilibrio tra gli obiettivi dei 3 pilastri principali.
Le loro posizioni hanno prevalso in ciascuno di questi aspetti. Nel testo finale gli obiettivi sono basati sull’Agenda 21 e il Piano d’Azione di Johannesburg e rispettando i principi di Rio, costruiti su impegni già presi, incorporano le 3 dimensioni dello sviluppo sostenibile. Dovrebbero così essere integrati nell’agenda che seguirà il 2015 e non dovrebbero allontanarsi dagli MDGs. Gli obiettivi dovrebbero riguardare aree prioritarie, basandosi sul documento finale.
I paesi industrializzati, specialmente quelli dell’Unione Europea, sono rimasti delusi dal fatto che il summit non adottasse i 5 obiettivi specifici inizialmente posti come prioritari. I paesi in via di sviluppo hanno infatti argomentato che non c’era il tempo per discutere e stabilire quali fossero tali obiettivi iniziali dato che l’aspetto sociale ed economico non era stato incluso.
La formulazione degli obiettivi e la loro interazione con l’agenda post 2015 saranno una delle azioni di follow up più importanti stabilite da Rio+20.
**La Green Economy**
Il documento finale ha una sezione ampia riguardante la “green economy”. Questo tema aveva di fatto assorbito la maggior parte del tempo e delle energie durante la fase preparatoria della conferenza, durata più di un anno. “La green economy nel contesto dello sviluppo sostenibile e dell’eliminazione della povertà” era stato incluso come uno dei due temi specifici della conferenza (l’altro era la struttura istituzionale per lo sviluppo sostenibile).
Era diventato subito centro di controversie e conflitti, in parte perché era un tema dei negoziati bilaterali che poteva potenzialmente risultare in nuovi obblighi per gli stati e in parte perché il tema era di fatto discusso nella casa dello “sviluppo sostenibile” idea con la quale l’interazione della “green economy” presentava confusione dal punto di vista pratico e concettuale.
Fin dalle prime fasi dei dialoghi alcuni paesi industrializzati, in particolare dell’Unione Europea, hanno affermato di avere un approccio alla green economy di tipo pratico e normativo. La UE ha proposto che si formulasse a Rio+20 una road map con obiettivi precisi, target e scadenze su temi quali acqua, foreste, agricoltura e oceani.
Questa tuttavia è stata vista da parte di alcuni paesi in via di sviluppo come un’azione troppo incisiva. Molte erano le preoccupazioni, incluso il fatto che la green economy potesse sostituire in qualche modo il concetto di sviluppo sostenibile e che potesse essere utilizzata per giustificare il protezionismo nei confronti dei prodotti dei paesi in via di sviluppo, oltre a porre nuove condizioni sugli aiuti; che potesse essere utilizzata come scusa per creare nuovi mercati basati sullo sfruttamento della natura, compensi e pagamenti per servizi ambientali che potessero quindi portare ad una mercificazione delle risorse naturali.
C’era anche la preoccupazione che potesse esserci un approccio che stabilisse degli obblighi uguali per tutti e cui tutti i paesi dovessero aderire senza tuttavia che le regioni in via di sviluppo potessero avere accesso ai mezzi (economia e tecnologie) per implementare tali criteri.
Dopo una lunga battaglia durata più di un anno è stato raggiunto il consenso sul fatto che la green economy rappresenti uno strumento importante per raggiungere lo sviluppo sostenibile, fornendo opzioni senza però imporre regole fisse e che le policy della green economy debbano comunque essere guidate dai principi di Rio.
Il testo contiene inoltre 16 punti riguardanti ciò che la green economy dovrebbe e non dovrebbe rappresentare. Dovrebbe rispettare la sovranità nazionale dei paesi, promuovere un modello di crescita inclusivo, rafforzare il trasferimento tecnologico e finanziario ai paesi in via di sviluppo, evitare i condizionamenti riguardanti gli aiuti finanziari, non essere utilizzata a fini di protezionismo, aiutare a colmare il divario tecnologico tra nord e sud del mondo, occuparsi del fenomeno della povertà e delle disuguaglianze e promuovere modelli di consumo e di produzione sostenibili.
I punti di azione principali sono piuttosto moderati. Il sistema delle Nazioni Unite e i relativi partners sono invitati a coordinare e fornire informazioni riguardanti paesi con interessi comuni; a fornire strumenti, best practices ed esempi nell’applicazione dei principi della green economy, metodi per la valutazione delle policy e condividere esperienze comuni.
**La struttura Istituzionale dello Sviluppo Sostenibile (IFSD)**
La IFSD (Institutional Framework of Sustainable Development) è stata uno dei temi principali di Rio+20 e il capitolo che le è stato dedicato proverebbe provare risultati significativi. E’ ampiamente riconosciuto che mentre Rio 1992 è stato un successo, i successivi meccanismi di implementazione sono stati molto deboli. L’organismo principale di implementazione è stato rappresentato la CSD, la Commissione sullo Sviluppo Sostenibile che funzionò bene come strumento di riunione dei ministri e dei rappresentanti istituzionali per i primi anni ma che non ha dato risultati in anni recenti.
Il problema è principalmente la sua struttura: si riunisce solamente 2/3 settimane in un anno e ha una piccola Segreteria all’interno del dipartimento per l’economia e gli affari sociali delle Nazioni Unite, mentre la sua agenda è molto ampia e con vari obiettivi da raggiungere.
Potenzialmente, una delle decisioni più importanti adottate a Rio+20 è stata quella di istituire un forum politico di alto livello sullo sviluppo sostenibile per sostituire la CSD. L’idea di un Forum era stata originariamente proposta durante il G77 in Cina, mentre altri paesi, soprattutto quelli dell’Unione Europea, avevano proposto di trasformare la CSD in un nuovo Consiglio per lo Sviluppo Sostenibile. Il testo finale ha acconsentito alla creazione del Forum ed ha incluso anche alcune delle idee che erano state proposte per il Consiglio.
Secondo il documento, il Forum dovrebbe avere varie funzioni: di fornire una leadership politica e raccomandazioni sullo sviluppo sostenibile, fornire una piattaforma per il dialogo e un’agenda che fissi appuntamenti regolari, consideri le nuove sfide riguardanti lo sviluppo sostenibile, riveda i progressi nell’applicazione e nell’implementazione e migliori il coordinamento con il sistema delle Nazioni Unite, decida azioni per rispondere a nuove problematiche, riscontri gli obblighi fissati per raggiungere gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, promuova un sistema coerente e coordinato delle politiche di sviluppo.
Dato che i dettagli non sono stati decisi, Rio+20 ha deciso di lanciare un processo intergovernativo sotto l’egida dell’Assemblea Generale per definire il formato del Forum e gli aspetti organizzativi con lo scopo di convocare il primo Forum in occasione della 68° sessione dell’Assemblea Generale prevista nel 2013.
Un punto chiave del forum riguarda proprio la decisione se debba essere semplicemente una serie di incontri annuali (da tenersi durante le sessioni dell’Assemblea Generale) o se avrà una forte e solida struttura che affronti temi di dimensione sociale, economica e ambientale, che si incontri regolarmente durante l’anno e che possegga una Segreteria sufficientemente forte.
Se il nuovo formato può avere una vasta agenda, un mandato sufficientemente concreto per agire, un processo dinamico di discussione e potere decisionale, una struttura forte e supporto politico, allora il modesto documento uscito da Rio+20 potrà trasformarsi in un processo di cambiamento reale.
Rio+20 ha anche stabilito che il Programma sull’Ambiente delle Nazioni Unite dovrebbe essere rafforzato e attualizzato, con la membership universale del consiglio, dovrebbe rafforzare l’aspetto economico attraverso un processo di finanziamento stabile ed adeguato e potenziare la sua presenza regionale. E’ l’unico punto del testo in cui si parla di impegni per aumenti nei finanziamenti e stabilità degli stessi. L’Assemblea Generale è stata invitata in questo senso ad adottare la risoluzione UNEP (United Nations Environmental Program).
Questa decisione è stata fortemente criticata dai paesi europei che volevano la trasformazione dell’UNEP in un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite. Tuttavia questo non è stato accettato da altri paesi sviluppati, tra cui USA, Giappone e Russia, ognuno per motivazioni proprie.
**Consenso comune**
Nonostante le giuste aspettative su Rio+20 di coloro che si auguravano una vera e propria svolta per le crisi attuali, è da considerarsi una fortuna il fatto che abbia anche solo raggiunto un consenso comune. La cooperazione internazionale infatti si è deteriorata negli ultimi anni, come si vede anche dall’impasse dei negoziati di Doha dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, dal fallimento della conferenza sul clima di Copenhagen e dalle incertezze riguardanti la conferenza UNCTAD XIII. Anche Rio+20 è una vittima dei ridotti impegni da parte dei paesi industrializzati nell’aiuto e il supporto ai paesi in via di sviluppo. Nonostante alcuni inconvenienti questi paesi hanno ottenuto che alcune delle richieste più importanti fossero accolte durante i negoziati. Questo dice molto sulla situazione internazionale odierna; la riaffermazione dei principi stabiliti 20 o 10 anni fa può quindi essere considerata un successo.
Con Rio+20 il sistema multilaterale dello sviluppo sostenibile sopravvive e può ancora lottare per le proprie battaglie. Il testo contenente le azioni da implementare, il forum per lo sviluppo sostenibile, la strategia finanziaria e il meccanismo di trasferimento delle tecnologie, gli obiettivi stabiliti, fissano così la strada per i lavori futuri delle Nazioni Unite durante l’anno venturo.
Il successo di qualsiasi conferenza è in ultima istanza determinato dalla forza del follow up, delle azioni conseguenti. Per questo, Rio+20 potrà restare una grande delusione o divenire l’inizio per qualcosa di significativo. In questo senso la conferenza non è terminata ma solo iniziata, come ha affermato anche il Presidente Brasiliano nel suo discorso di chiusura del summit.
*Martin Khor è il direttore del South Centre è può essere contattato a mkhor@igc.org – Questa è la versione abbreviata dell’analisi svolta dal South Bulletin 64 del South Centre.
Tradotto da Eleonora Albini