Pesanti interrogativi e il rischio di un nulla di fatto stanno caratterizzando la quarta e ultima settimana della Conferenza dell’Onu in corso a New York per l’elaborazione di un Trattato sul commercio delle armi convenzionali (Att, Arms Trade Treaty).
A sostenerlo sono diverse fonti della società civile sentite dalla MISNA, secondo cui a frenare sull’approvazione di un trattato forte sono in particolare Stati Uniti, Cina e Russia, ovvero tre fra i principali produttori di armi.
“Tutto è ancora in discussione – dice alla MISNA Emilio Emmolo, ricercatore dell’Archivio Disarmo, istituto di ricerca con base a Roma – ma le varie posizioni espresse nelle prime tre settimane in alcuni casi mettono in discussione l’elaborazione stessa di un trattato”.
Secondo le notizie trapelate dalle riunioni a porte chiuse condotte a New York, Cina e Russia sarebbero a favore di un trattato “debole” se non addirittura per il mantenimento dell’attuale status quo. Gli Stati Uniti, da parte loro, avrebbero posto condizioni tali che depotenzierebbero il trattato e stanno esercitando pressioni su Francia e Regno Unito.
“Non è un caso – aggiunge Emmolo – che Londra e Parigi non siano tra i sostenitori di un documento firmato da 73 paesi in cui si chiede il massimo sforzo per un trattato con criteri rigorosi e che comprenda il divieto a trasferimenti qualora vi sia il rischio che le armi possano essere usate per violazioni di diritti umani”. Di questo gruppo fa parte tra l’altro l’Italia che però ha a sua volta chiesto di non comprendere nel trattato le armi leggere ma solo quelle ad esclusivo uso militare. “Come se quelle leggere – conclude Emmolo – non fossero utilizzate nei conflitti quando è universalmente riconosciuto il loro peso soprattutto nelle guerre africane”.
Secondo Emmolo e altre fonti sentite a New York, la società civile internazionale sta ora valutando altre opzioni: tra queste l’adozione di una convenzione quadro alla quale aggiungere in un secondo tempo protocolli opzionali; oppure l’adozione di un trattato forte da parte di una settantina di paesi, che vedrebbe di fatto esclusi i principali produttori di armi.