“A New York – dice il ricercatore di Archivio Disarmo, istituto di ricerca con base a Roma – i primi giorni hanno fatto già intravedere alcune posizioni. In particolare, è risultata evidente quella dei paesi arabi che hanno fatto ricorso alla questione palestinese nel probabile tentativo di rallentare il processo”.
Secondo il ricercatore ci sono però ancora tutti gli elementi per restare sulla buona strada e portare a compimento un processo diplomatico avviato dal basso e giunto al suo appuntamento cruciale. “Il cambiamento di politica operato dagli Stati Uniti negli ultimi tre anni potrebbe fare da volano – dice Emmolo – e spingere altri paesi ora titubanti a creare le condizioni per un Trattato forte. E’ il caso dell’Italia, per esempio, molto attenta a difendere il suo orticello nel commercio di armi leggere”.
Secondo Emmolo, la strada indicata da una parte significativa della società civile può portare a risultati concreti entro la fine del mese: “La proposta – dice – è di arrivare a un accordo quadro in cui si rispettino alcuni principi fondamentali. Tra questi: l’inclusione nel trattato di tutte le armi, quindi anche di quelle leggere e di quelle considerate a uso civile ma che in alcune regioni del pianeta si trasformano in vere e proprie armi di distruzione di massa; il divieto di trasferire armi in violazione del diritto umanitario internazionale o verso paesi sospettati di violazioni di diritti umani”.
La fase successiva, aggiunge Emmolo, passerebbe poi attraverso protocolli aggiuntivi da negoziare per definire in tempi certi questioni specifiche come la trasparenza e il monitoraggio.
I lavori della Conferenza dell’Onu per il Trattato sul commercio di armamenti sono cominciati il 2 luglio. In queste quattro settimane i rappresentanti di 193 Stati negozieranno quello che è considerato dalla società civile internazionale un atto fondamentale per controllare il commercio di armi con regole chiare e condivise.