**Nonostante emergano resoconti a prova del contrario, gli organi di stampa occidentali continuano a dare la colpa al regime siriano. Per questo motivo, Pressenza ripropone articoli già apparsi, e lo fa senza scusarsi per la ripetizione.**
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[The Houla Massacre Redux](http://www.nationalreview.com/corner/302998/houla-massacre-redux-john-rosenthal#)
di John Rosenthal
15 giugno 2012
Nel loro articolo “Assad’s Houla Propaganda”, in risposta al mio recente post sul blog del National Review Online (NRO) riguardante il massacro di Hula, Aymenn Jawad Al-Tamimi e Phillip Smyth utilizzano una specie di tattica del “prodotto civetta”. Cominciano come se volessero mettere in discussione la credibilità del reportage di Rainer Hermann sul Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ), che attribuisce il massacro ai militanti sunniti anti-Assad e identifica le vitttime come prevalentemente alawiti e sciiti. Poi però il grosso del loro attacco è dedicato a minare la credibilità di Madre Agnès-Mariam de la Croix, del monastero di San Giacomo a Qara, in Siria.
Come ho sottolineato alla fine del mio post, il resoconto del massacro di Hula rieccheggia quelli che vengono diffusi dal monastero. Rappresentanti del monastero, tra l’altro, asseriscono di aver avuto contatti con molti rifugiati provenienti da Hula, non con un unico “testimone oculare” come sostengono Al-Tamimi Smyth. Come detto, Madre Agnes-Mariam aveva già precedentemente messo in guardia contro il riconfezionamento, da parte dei media sia arabi che occidentali, dei reportage delle atrocità dei ribelli come atrocità del regime.
Sapevo, mentre ricordavo questi fatti, che Madre Agnes aveva concesso un’intervista al sito di Thierry Meyssan, lo scrittore francese che ha guadagnato notorietà dopo l’undici settembre per le sue astruse teorie complottistiche sugli attacchi. Ero anche consapevole che questo effimero collegamento avrebbe foraggiato quanti difendono e pubblicizzano la ribellione per accusare Madre Agnes-Mariam di complicità. Ne ero consapevole perché nella pagina francese del sito già dilagavano queste “contestazioni” ad hominem (1). Questo a dispetto del contenuto dei suoi resoconti, molto dettagliati e che mostrano una conoscenza del territorio ad un livello difficilmente riscontrabile tra gli osservatori occidentali. E a dispetto altresì delle testimonianze di altri che, trovandosi a soggiornare qualche tempo nel monastero, hanno lanciato avvertimenti simili, come per esempio il prete belga Padre Daniel Maes.
Forse, dopotutto, Madre Agnes-Mariam avrebbe fatto meglio a rifiutare quell’intervista con Meyssan. Ma in un panorama informativo come quello francese, privo al pari di quello americano di reportage equilibrati sulla crisi siriana, posso assicurare a Al-Tamini e Smyth che non avrà ricevuto molte altre richieste del genere.
Al-Tamini e Smyth scrivono che “è difficile non arrivare alla conclusione che Madre Agnes-Mariam sia poco più di un’altra propagandista pro-Assad”. Senza però offrire alcuna prova a sostegno di questa tesi, tranne il fatto che la sua valutazione della situazione siriana talvolta coincide con quella del governo del paese. Inoltre, evitano di affrontare una domanda ovvia: perchè mai suore e preti cattolici dovrebbe sentire la necessità di mettersi al servizio della “propaganda pro-Assad”? La più semplice e ovvia spiegazione per i loro resoconti non è forse che, essendo le minoranze religiose minacciate e perseguitate nei territori controllati dai ribelli, in quanto missionari cristiani ne sono naturalmente preoccupati?
E comunque, che c’entrano i commenti personali di Al-Tamini e Smyth su Madre Agnes-Mariam con Hermann e l’articolo pubblicato su FAZ? La risposta è: Niente. Al-Tamini e Smyth insinuano qualcosa di diverso quando scrivono: “Si potrebbe essere portati a pensare che FAZ ha ottenuto un vero scoop, ma la verità è che queste insinuazioni e accuse hanno origine in stravaganti siti web di tipo complottistico”.
La sola idea che il Frankfurter Allgemeine possa pubblicare un articolo basato su “stravaganti siti web di tipo complottistico” è francamente ridicola. Come ho sottolineato nel mio post, il reportage di Hermann, inviato da Damasco, cita esponenti dell’opposizione locali. Hermann aggiunge che le sue fonti hanno chiesto di non pubblicare i loro nomi per timore di rappresaglie: rappresaglie, cioè, da parte di altri appartenenti all’opposizione e, certamente, armati. Al-Tamini e Smyth intendono insinuare che Hermann stia mentendo sulle sue fonti?
Per quanto riguarda i rischi corsi dalle sue fonti, Hermann scrive, in particolare: “Ultimamente, esponenti dell’opposizione che rifiutano l’uso della violenza sono stati uccisi o minacciati”. In proposito, poco tempo fa, Hermann ha riferito il caso del dottor Adnan Wahbi, di base a Damasco:
*Wahbi faceva parte del Comitato Nazionale di Coordinazione, un partito dell’opposizione. Nella sua clinica curava i ribelli feriti. In seguito ad un suo appello a tutte le parti perché deponessero le armi, tuttavia, è stato ucciso con un colpo d’arma da fuoco alla testa.*
Ci sono, inoltre, molte denunce di altri assassinii a sfondo politico commessi dalle forze ribelli. Pochi giorni fa, per esempio, Hermann ha pubblicato un’intervista al Gran Mufti di Siria Badreddin Hassoun. Lo stesso Hermann descrive il Mufti come “molto vicino ad Assad”. Le parole del Mufti mettono bene in chiaro che egli sostiene il secolarismo del regime baatista di Assad. E, tra l’altro, rifiuta quell’estremismo religioso che caratterizza una larga fetta dell’oppposizione armata. Stando a Hermann, Hassoun è stato il bersaglio di minacce di morte per questa sua posizione. Ad ottobre suo figlio Sariya è stato assassinato.
Vista la situazione, non è certo sorprendente che le fonti di Hermann abbiano chiesto di mantenere l’anonimato. O Al-Tamini e Smyth credono forse che anche Hermann si è fatto abbindolare dalla “propaganda” di regime?
Al-Tamini e Smyth osservano, con poche citazioni, che lo stesso governo siriano ha attribuito il massacro di Hula a “terroristi armati”, come se il fatto stesso che sia stato il governo a dirlo ne annullasse il valore. Così facendo, non fanno altro che seguire quella che è diventata la pratica standard nei media occidentali, che rigettano le dichiarazioni del governo siriano su due piedi, e allo stesso tempo si basano praticamente solo sull’opposizione, o meglio su quella parte di essa che ha abbracciato la lotta armata e chiesto interventi dall’esterno, come loro fonte esclusiva di presunte notizie sulla Siria. Comportandosi così, i media occidentale, come i loro governi (e forse non è una coincidenza), hanno piuttosto ovviamente abbandonato l’imparzialità e preso posizione nel conflitto.
Si tratta senza dubbio dello stesso modus operandi che ha portato alla prima, inopinatamente veloce “certezza” sul massacro. La missione degli osservatori ONU sarebbe arivata in seguito per confermare lo spaventoso tipo di ferite delle vittime. Senza peraltro riuscire a stabilirne le circostanze. Uno sguardo ai reportage iniziali della stampa occidentale non lascia dubbi sull’origine dell’attribuzione di responsabilità al governo siriano: anonimi “gruppi di opposizione” e “attivisti” locali. (Per di più, come ha sottolineato l’olandese Martin Janssen, esperto per il Medio Oriente, il consiglio delle Nazioni Unite, che sembra abbia dato credito alle denunce iniziali, ha ammesso altresì di aver consultato gruppi di opposizione come fonte di informazione).
Ma cosa ne pensano Al-Tamini e Smyth delle numerose prove che al-Qaeda e gruppi consimili di fede salafi sono in pratica coinvolti nell’opposizione armata? Da quando in qua al-Qaeda ha smesso l’abitudine di trucidare non solo i cristiani, ma anche quelli che considera musulmani “eretici”, come gli sciiti e gli alawiti?
E cosa ne pensano i due della serie di attacchi suicidi a Damasco, Aleppo, e ovunque in Siria, attacchi che persino il direttore del DNI (dipartimento dell’intelligence statunitense) ha ammesso portano i segni distintivi di al-Qaeda? Forse Al-Tamini e Smyth credono, secondo lo stile delle teorie di Thierry Meyssan sull’undici settembre, che questi attacchi sono stati orchestrati dal regime stesso. Ma allora cosa pensano delle prove video che mostrano brigade di ribelli o loro sostenitori posare fieri con la tristemente nota bandiera nera di al-Qaeda, quella stessa bandiera resa famosa dal maestro del terrorismo Abu Musab al-Zarqawi nel prendere di mira truppe americane, “collaboratori” locali e sciiti nel vicino Iraq? Credono che questi siano dei falsi ben congegnati dalla “propaganda” di regime?
[…]
Il reportage di Rainer Hermann non deve necessariamente essere visto come l’ultima parola sul massacro di Hula. Ma nel tentativo di annullare tutte le prove che rendono il reportage di Hermann credibile, sono proprio Al-Tamini e Smyth che si trovano costretti a ricorrere ad astruse teorie complottistiche.
(1): ad hominem: argomentazione rivolta “contro la persona”, anziché dimostrare la falsità delle affermazioni dell’avversario.
– John Rosenthal scrive su politiche europee e su problemi di sicurezza transatlantica. Si può seguire il suo lavoro su [John Rosenthal](http://www.trans-int.com) o su Facebook.
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**Nuovo articolo sul massacro di Hula su FAZ**: [The Extermination](http://www.moonofalabama.org/2012/06/new-faz-piece-on-houla-massacre-the-extermination.html)
*[Per chiarezza, precisiamo che quanto segue è la traduzione in italiano di un post apparso sul blog su indicato e che contiene a sua volta la traduzione dal tedesco dell’articolo apparso sul Frankfurter Allgemeine Zeitung]*
Una competente e stimata firma dell’importante quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ) ha raccontato (in tedesco) di come il massacro di Hula, in Siria, sia stato perpetrato da forze sunnite ribelli. Ho tradotto l’articolo in inglese. Ci sono state forti resistenze nei confronti dell’articolo e una confutazione anonima da parte di attivisti di Hula.
In un nuovo articolo (sempre in tedesco) Rainer Hermann amplia i concetti del primo e spiega perché il suo resoconto è corretto e perchè altri sono invece gravemente sbagliati.
Quella che segue è la traduzione dell’articolo: The Extermination
**Lo sterminio**
Il massacro di Hula ha rappresentato un punto di svolta nel dramma siriano. L’uccisione, il 25 maggio, di 108 persone, tra cui 49 bambini, ha provocato grande sdegno in tutto il mondo. Le richieste di un intervento armato per porre fine allo spargimento di sangue sono diventate sempre più forti, e da allora le violenze in Siria sono andate progressivamente aumentando. L’opinione mondiale, basandosi sui notiziari arabi e sulla visita di osservatori ONU avvenuta il giorno successivo, ha dato quasi unanimemente la colpa all’esercito regolare siriano e alla milizia shabiha del regime siriano.
Nelle ultime settimane, basandosi su resoconti di testimoni oculari, il Frankfurter Allgemeine Zeitung ha messo in dubbio questa versione, riferendo che i civili uccisi erano alawiti e sciiti, deliberatamente uccisi da sunniti armati a Taldu, città nella pianura di Hula, mentre ai posti di blocco intorno alla città avvenivano duri scontri tra l’esercito regolare e l’Esercito Libero Siriano. Il nostro articolo, ripreso da numerosi organi di stampa nel mondo, è stato contestato da molti come non plausibile. Allora, dobbiamo porre quattro domande: Perchè finora l’opinione pubblica mondiale ha seguito una versione diversa? Perché il contesto della guerra civile rende plausibile la versione finora messa in dubbio? Perché i testimoni sono attendibili? Quali altri fatti convalidano il reportage?
Prima di tutto, perché l’opinione pubblica segue una versione diversa? Non c’è dubbio che nei primi mesi del conflitto, quando l’opposizione non possedeva ancora armi ed era senza difese, le atrocità sono state commesse dal regime. Era quindi ovvio supporre che le cose sarebbero continuate così. [Nota del traduttore inglese: Qui il signor Hermann sbaglia. Ci sono corrispondenze attendibili che parlano di attacchi mortali contro le forze governative da parte di gente ben armata, presumibilmente finanziata dall’estero, sin dal 10 aprile 2011]. Inoltre, i mezzi d’informazione di stato siriani non godono di molta credibilità. Hanno usato l’etichetta standard “bande armate terroristiche” sin dall’inizio del conflitto. E così, nessuno crede loro, neanche quando sarebbe il caso. Due organi di stampa, il canale d’informazione arabo Al Jazeera e l’emittente Al Arabiya sono diventati la fonte principale di notizie anche se a controllarle sono il Qatar e l’Arabia Saudita, due stati attivamente coinvolti nel conflitto. Non senza ragione ricordiamo il detto: “In guerra, la prima vittima è la verità”.
Secondo: perchè, nel contesto della guerra civile, viene ritenuta plausibile la versione finora messa in dubbio? Negli ultimi mesi, sono state contrabbandate verso la Siria molte armi, e inoltre i ribelli sono in possesso già da qualche tempo di armamenti di medio calibro. Ogni giorno oltre un centinaio di persone vengono uccise in Siria, con un numero di morti più o meno pari nelle opposte fazioni. Le milizie raccolte sotto l’insegna del Libero Esercito Siriano controllano estese zone delle province di Homs e di Idlib, oltre ad estendere il loro dominio su altre parti del paese. Il costante aumento dell’illegalità ha portato a un’ondata di rapimenti criminali, rinfocolando inoltre il regolamento di conti di vecchi rancori. Basta dare un’occhiata attraverso le pagine di Facebook, o parlare con qualche siriano: ognuno conosce storie quotidiane di “pulizia religiosa”, di gente uccisa solo perché alawita o sciita.
La piana di Hula, tra la città sunnita di Homs e le montagne degli alawiti, e popolata prevalentemente da sunniti, porta il carico di una lunga storia di tensioni settarie. Il massacro ha avuto luogo a Taldu, una delle località più grandi di Hula. Si conoscono i nomi di 84 dei civili uccisi. Si tratta di 49 bambini e rispettivi genitori della famiglia Al Sayyid e di due rami della famiglia Abdarrazzaq. I residenti della città hanno dichiarato che si trattava di alawiti e di musulmani convertiti da sunniti a sciiti. Trovandosi a pochi kilometri dal confine con il Libano, questo li rendeva sospetti di simpatizzare con Hezbollah, odiato dai sunniti. Inoltre, sempre a Taldu, sono stati uccisi parenti del deputato filo-governativo Abdalmuti Mashlab.
Le case delle tre famiglie si trovano in zone diverse della città. I membri delle famiglie in questione sono stati tutti presi di mira e uccisi, con una sola eccezione, mentre nessun vicino è stato ferito. La conoscenza de territorio e della realtà locale è un prerequisito per queste “esecuzioni” così ben pianificate. L’agenzia di stampa AP riporta le dichiarazioni dell’unico sopravvissuto della famiglia Al Ayyid, l’undicenne Ali: “Gli esecutori avevano la testa rasata e portavano lunghe barbe”. Questo è il caratteristico aspetto dei jihadisti fanatici, non della milizia shabila. Il ragazzo ha raccontato di essersi salvato imbrattandosi col sangue della madre e fingendosi morto.
Il primo aprile, Madre Agnes-Mariam, monaca presso il monastero di San Giacomo a sud di Homs, nel villaggio di Qara, ha descritto in una lunga lettera aperta il clima di violenza e paura che si vive nella regione. La sua conclusione è che i ribelli sunniti stanno operando una graduale eliminazione di tutte le minoranze. Descrive l’espulsione di cristiani e alawiti dalle loro case, poi occupate dai ribelli, e lo stupro di giovani donne che i ribelli si passano l’un l’altro come “bottino di guerra”; è stata testimone oculare quando i ribelli, in una strada di Wadi Sajjed, hanno ucciso con un’autobomba un commerciante che si era rifiutato di chiudere il proprio negozio, dichiarando poi davanti alle telecamere di Al Jazeera che il crimine era stato commesso dal regime. Infine, descrive come a Khalidijah, quartiere di Homs, i ribelli sunniti hanno rinchiuso ostaggi cristiani e alawiti all’interno di una casa, facendola esplodere, per poi dichiarare che si trattava di un’atrocità del regime.
Perché, in questo contesto, i testimoni nel mio reportage sono considerati attendibili? Perché non appartengono a nessuna delle fazioni in conflitto: sono stati presi in mezzo e non hanno altro interesse che fermare l’ulteriore intensificarsi delle violenze. Altri come loro sono già stati uccisi, ed è comprensibile che, di conseguenza, nessuno voglia rivelare la propria identità. In un momento in cui una rassegna indipendente di quanto accade nella zona è irrealizzabile, non c’è alcuna certezza che tutti i fatti siano avvenuti esattamente nei termini in cui vengono descritti. Anche se il massacro di Hula è avvenuto nei termini descritti qui, non si può trarne alcuna conclusione per quanto riguarda altre atrocità. Come è avvenuto per il Kosovo, dopo questa guerra ogni massacro andrà esaminato singolarmente.
Quali altri fatti corroborano questa versione? Il FAZ non è stato l’unico a riferire una nuova versione del massacro di Hula. Semplicemente, altri reportage non potevano competere con i grandi dell’informazione. Il giornalista russo Marat Musin, che lavora per la piccola agenzia di stampa Anna, e che si trovava a Hula il 25 ed il 26 maggio, è stato testimone oculare di parte degli avvenimenti ed ha anche pubblicato le dichiarazioni di altri testimoni oculari. Inoltre, l’olandese Martin Janssen, arabista e giornalista freelance che vive a Damasco, si è messo in contatto con il monastero di San Giacomo dove molte vittime delle violenze si erano rifugiate, mentre le monache si dedicavano al servizio umanitario dopo il massacro.
I ribelli sunniti stanno mettendo in atto una “eliminazione” di tutte le minoranze.
Le suore gli hanno raccontato che il 25 maggio oltre settecento ribelli armati arrivati da Rastan hanno sopraffatto un posto di blocco dell’esercito nei pressi di Taldu, aggiungendo che gli stessi ribelli, dopo il massacro, hanno ammucchiato i corpi dei soldati e dei civili uccisi davanti alla moschea. Poi, il giorno dopo, hanno fornito la loro versione dei fatti attribuendo all’esercito regolare la responsabilità della strage, davanti alle telecamere dei mass media a loro favorevoli e davanti agli osservatori dell’ONU. Il segretario generale dell’ONU Banki-moon ha dichiarato al Consiglio di Sicurezza il 26 maggio che le esatte dinamiche dei fatti non erano chiare, ma che l’ONU era in grado di confermare che “ci sono stati attacchi di artiglieria e di mortai. Ci sono state inoltre altre forme di violenza, come spari a bruciapelo e maltrattamenti gravi”.
Ecco come possiamo ricostruire la sequenza degli eventi: il 25 maggio, dopo la preghiera del venerdì, oltre 700 uomini armati al comando di Abdurrazzaq Tlass e Yahya Yusuf, divisi in tre gruppi provenienti da Rastan, Kafr Laha e Akraba, hanno attaccato tre posti di blocco intorno a Taldu. Durante i sanguinosi scontri tra i ribelli, numericamente superiori, e i soldati regolari, molti dei quali anche loro sunniti, sono morti oltre una ventina di soldati, in maggioranza militari di leva. Durante e dopo gli scontri i ribelli, aiutati anche da residenti di Taldu, hanno sterminato le famiglie di Sayyid e di Abdarrazzaq. Avevano rifiutato di unirsi all’opposizione.
Traduzione dall’inglese di Giuseppina Vecchia