A giugno 2012 ricorre il ventitreesimo anniversario della continua copertura da parte del governo cinese del massacro di Tienanmen e della persecuzione dei sopravvissuti, dei parenti delle vittime e di chi sfida il racconto del governo su tali abusi.
“Sono passati più di tre decenni dall’inizio dell’era della “riforma e dell’apertura” in Cina, ma dal 1989 il governo ha mostrato poco interesse nella riforma o nell’apertura quando si tratta di proteste e di massacri”, ha dichiarato Sophie Richardson, direttore per la Cina di Human Rights Watch. “Ma le richieste all’interno della Cina di una riforma legale sensata e di responsabilità sono in aumento, nonostante la resistenza del governo”.
La fuga del 22 aprile 2012 del difensore dei diritti umani non vedente Chen Guangcheng da 19 mesi di detenzione illegale nella provincia di Shandong e il suo successivo trasferimento negli Stati Uniti il mese scorso evidenziano l’abuso ufficiale del sistema legale per perseguitare chi cerca rimedio agli abusi sui diritti umani. In questi 19 mesi, Chen e la sua famiglia, compresa sua moglie, Yuan Weijing, e la sua anziana madre, sono stati bersaglio di violenze fisiche da parte di funzionari del governo locale e delle forze di sicurezza, e sono stati negati loro i diritti costituzionali garantiti di libertà di movimento, di espressione e di associazione.
Nonostante le garanzie del governo cinese sul fatto che i funzionari avrebbero indagato su tali abusi, alcuni parenti di Chen a Shandong sono stati bersaglio di ciò che Chen descrive come “forte pressione” e tattiche di intimidazione da parte di funzionari governativi locali. Il nipote di Chen, Chen Kegui, è accusato di tentato omicidio, come risultato di ciò che Chen ha descritto come un atto di autodifesa contro teppisti armati di manici di piccone che sembra abbiano fatto irruzione nella casa del fratello il 27 aprile 2012.
“Le autorità cinesi hanno più volte descritto Chen come un “uomo libero” e “un normale cittadino” mentre i dirigenti locali maltrattavano rudemente lui e la sua famiglia” ha dichiarato Richardson. “Tale ostinato occultamento della verità è purtroppo coerente con l’atteggiamento del governo verso il 4 giugno”.
Il massacro di Tienanmen è stato causato dalla riunione di massa di lavoratori, studenti e altri, nell’aprile 1989, nella piazza Tienanmen di Pechino e in altre città, per manifestare pacificamente a favore di un sistema politico pluralista. Alla fine di maggio 1989, il governo ha risposto alle proteste che si stavano intensificando dichiarando la legge marziale e autorizzando i militari a utilizzare la forza letale.
In risposta, le unità militari cinesi hanno sparato e ucciso un numero imprecisato di civili disarmati, molti dei quali non erano collegati alle proteste di Pechino e di altre città, nei giorni tra il 3 e il 4 giugno. A Pechino alcune persone hanno attaccato convogli dell’esercito e hanno bruciato veicoli mentre i militari si spostavano verso la città. Le Madri di Tienanmen, un gruppo non governativo di parenti delle vittime del massacro di Tienanmen, hanno compilato un elenco di almeno 203 cittadini uccisi nella repressione di giugno 1989. La repressione del 1989 si è estesa ai principali centri urbani in Cina e ha causato l’arresto di migliaia di persone con accuse di “controrivoluzione” e di vari crimini, tra cui il disturbo dell’ordine sociale e l’incendio doloso.
Il governo cinese si è rifiutato di rendere conto per tali omicidi o di portare davanti alla giustizia i responsabili. Inizialmente il Partito Comunista Cinese ha giustificato la repressione nel sangue come risposta valida a un “incidente controrivoluzionario”, rivedendo più tardi la sua valutazione dell’incidente come “tumulto politico”. Il governo cinese ha fermamente rifiutato di pubblicare un elenco delle persone uccise, “scomparse” o arrestate, e non ha pubblicato cifre verificabili sui feriti. Il governo ha inoltre represso, coerentemente, ogni discussione pubblica sul massacro del giugno 1989 e sulle sue conseguenze.
Il rifiuto del governo di indagare e di indicare i responsabili della violenta repressione del movimento di protesta del 4 giugno, e di tollerare un dibattito pubblico su tali eventi, si riflette in molte violazioni dei diritti umani importanti e ancora in corso, tra cui:
– La condanna a 11 anni di carcere per il vincitore del Premio Nobel per la Pace Liu Xiaobo il 25 dicembre 2009, con la falsa accusa di “incitamento all’eversione” e gli arresti domiciliari illegali per sua moglie Liu Xia da ottobre 2010
– Il mancato riconoscimento di importanti ingiustizie e la mancanza di indagini sulle affermazioni di importanti abusi dei diritti umani su tibetani e uiguri
– La mancanza di responsabilità, e la mira su vittime di molestie e intimidazione, rispetto a grandi disastri, tra cui il terremoto di Sichuan del maggio 2008 e l’incidente del treno ad alta velocità di Wenzhou nel luglio 2011, e
– La crescita di un apparato di sicurezza interna che si basa su abusi e non riesce a frenarli, da parte di ufficiali in uniforme e teppisti civili, spesso utilizzati per zittire le critiche al governo.
“Le Madri di Tienanmen, la famiglia di Chen Guangcheng, Liu Xiaobo, e innumerevoli individui in tutta la Cina continuano ad essere perseguitati, perché semplicemente chiedono al governo di assumersi i propri impegni legali”, ha dichiarato Richardson. “La credibilità del governo non dipende solo dall’attuazione della riforma economica o da impegni per la sicurezza internazionale; dipende dalla sua volontà di rispondere al suo popolo dei suoi peggiori errori”.
Traduzione dall’inglese di Traduttori Pressenza