Ringrazio il Partito Umanista per aver organizzato questo incontro e per aver invitato a partecipare
il Centro di Studi Umanista “Salvatore Puledda”di Roma.

Non sono uno specialista in campo socio-economico, né in quello politico. Diciamo semplicemente
che mi interesso di processi umani in generale, con particolare attenzione ai processi storici dal
punto di vista dello svolgersi delle culture e delle civiltà.

Vorrei tentare, oggi, se riuscirò a farlo, di dare elementi per inquadrare la crisi che stiamo vivendo
da una prospettiva più ampia, sicuramente non proprio economica o politica, ma piuttosto in
relazione con l’evoluzione della coscienza umana.

L’evoluzione umana è stata caratterizzata da continui ampliamenti della coscienza. Non in un
processo lineare e meccanico, ma piuttosto in una sequenza “a salti”, dove alla fine di ogni ciclo
storico gli elementi più progressivi si sintetizzavano per dare vita a una tappa completamente
nuova.
Dai primi ominidi alle specie più evolute, attraverso l’apprendimento dell’uso del fuoco e delle
tecnologie per agire intenzionalmente sulla natura, la conoscenza del mondo si andava ampliando
mentre si ampliava la capacità di fare relazioni tra le diverse conoscenze e di elaborare concezioni
del mondo sempre più complesse. Questo è quello che intendiamo per ampliamento della coscienza:
l’aumento della complessità e della profondità nello strutturare il mondo.

Nel corso della storia si può osservare che nei periodi di decadenza di ogni grande civiltà, che
entrava in contatto con nuove concezioni e nuovi strumenti tecnologici, si è sempre sviluppato un
sistema più complesso ed evoluto di società, di scienza, di visione del mondo. Anzi, spesso era
proprio l’incontro con la diversità di altre culture che produceva il decadimento di una concezione
e produceva una nuova sintesi. Non si è mai tornati indietro, ma si sono sempre conservati gli
elementi più progressivi delle civiltà morenti per elaborare il “nuovo” che avrebbe accompagnato
l’essere umano per altri millenni.

La necessità di cambiamento e di trovare risposte sempre più adeguate per un adattamento
crescente al mondo e alle società che cambiavano, ha permesso la comparsa su questo pianeta della
meraviglia che è oggi la coscienza dell’essere umano, con tutta la sua complessità, la sua ricerca, la
sua scienza, la sua spiritualità.

In ogni momento di processo di questo tipo, in cui si preparava un nuovo salto evolutivo della
coscienza umana, ci si è trovati spesso imprigionati, se così si può dire, da concezioni e sistemi
obsoleti di un mondo che stava morendo.
In qualche modo la coscienza entrava in crisi perché aveva bisogno di compiere, ancora una volta,
un passo verso la libertà, mentre sperimentava ormai troppo limitate le risposte che venivano dal
passato. Proprio come un bambino che, diventato adolescente, sente che gli abiti della sua infanzia
gli vanno ormai stretti e non corrispondono più ai propri bisogni.

In questo momento storico ci troviamo esattamente in uno dei momenti di processo descritti.
La coscienza umana ha bisogno ancora una volta di liberarsi per compiere il salto necessario verso il futuro, mentre ancora resistono in lui e nelle società gli antichi paradigmi. Questa è la
crisi fondamentale che, a mio parere, stiamo sperimentando ogni giorno e che dà luogo, in molte
persone, al disorientamento e alla confusione.

Per capire meglio la situazione descritta, è necessario considerare diversi fattori che stanno
contribuendo, oggi, ad avvicinare l’essere umano ad una nuovo salto e ad un ulteriore ampliamento
della coscienza. Proverò a descriverne alcuni.

Lo sviluppo degli strumenti tecnologici e di una mentalità che abbiamo definito “scientifica”,
iniziata già a partire dal rinascimento, ha permesso all’essere umano di operare sempre più
incisivamente sulla natura, piegandola, nel bene e nel male, alle proprie necessità. Quindi, il mondo
e la natura non sono più vissuti, come avveniva in passato, come forze inspiegabili e ostili, ma come
fenomeni da capire e addomesticare. Anzi, a partire da un certo momento fino ad oggi, soprattutto
in occidente, si è creduto che la tecnologia potesse risolvere ogni cosa e che ormai l’essere umano
avesse raggiunto l’apice della sua carriera, potendo comprendere la natura in ogni dettaglio ed agire
conseguentemente su di essa trasformandola secondo i suoi voleri. Questa consapevolezza che
si è sviluppata in particolare negli ultimi due secoli, ha modificato sostanzialmente la posizione
psicologica dell’essere umano di fronte al mondo.

L’accelerazione tecnologica di questi ultimi decenni, poi, soprattutto nel campo delle
comunicazioni, ha messo la maggior parte degli abitanti di questo pianeta nelle condizioni
di avvicinarsi a culture molto distanti tra loro, di confrontare modi di pensare e di vivere
differenti dal proprio, di acquisire punti di vista e abitudini che fino a poco tempo fa erano solo
racconti di esploratori e avventurieri. La TV e Internet hanno permesso ad ogni essere umano di
essere “presente”, anche se non fisicamente, nel contesto culturale dell’altro, dell’estraneo, del
diverso.

D’altra parte, i grandi spostamenti migratori di milioni di persone da un continente all’altro e
la concentrazione di culture molto differenti in contesti urbani ristretti, hanno avuto e stanno
continuando ad avere un impatto psicologico enorme sulle popolazioni. Si producono molti tentativi
di sincretismi culturali, che generano a loro volta, tra i più timorosi, reazioni fondamentaliste e
irrazionali.

Se pensiamo che solo fino a un secolo fa era difficile e lungo spostarsi da un luogo all’altro, che
le comunicazioni avvenivano prevalentemente all’interno di uno stesso contesto culturale e che si
sapeva ben poco di ciò che accadeva all’altro capo della terra, riusciamo più o meno a comprendere
come si può essere modificata la coscienza colpita adesso da milioni di stimoli per la maggior parte
incomprensibili.
Oggi si vive accanto a persone di culture molto diverse, si sanno in tempo reale avvenimenti
lontanissimi, si può videochattare con chiunque in qualsiasi parte del globo. Il limitato “io”
psicologico di cento anni fa è stato sommerso da un “io” globale e mondializzato.

Tutto questo, affiancato all’avanzamento delle scienze fisiche e sociali, con i loro progressi e
le loro nuove concezioni – pensiamo solo alla relatività di Einstein, alla fisica quantistica, alla
clonazione, alla scoperta della creazione della vita in laboratorio di qualche anno fa – hanno
portato la coscienza di ogni persona a una situazione limite, in cui i riferimenti ideologici e
concettuali del passato non sono più utili a trovare risposte per adattarsi a questo mondo in continua
trasformazione.

La coscienza, dunque, entra in crisi. Non come fatto negativo e distruttivo, ma come momento di
passaggio da una tappa ormai in rapida decadenza, verso un futuro che ancora non appare chiaro,
che ancora è da costruire.

È certo che stiamo procedendo rapidamente, per la prima volta nella storia, verso quella che
potremmo chiamare una “Nazione Umana Universale”, basata su una nuova cultura che sarà la
sintesi degli elementi progressivi ed evolutivi di ogni cultura presente oggi sul pianeta.
Ma è altrettanto certo che la nascita di questa nuova civiltà planetaria non prevede l’imposizione
di modelli da parte delle culture oggi dominanti, ma piuttosto un dialogo e una disponibilità alla
creazione di qualcosa di completamente nuovo, includente ogni diversità. Non la globalizzazione
di un sistema dominante, ma piuttosto una mondializzazione delle idee e delle credenze di ogni
cultura.

Oggi i sistemi organizzativi, politici ed economici, le relazioni sociali e individuali, le concezioni
del mondo e dello stesso essere umano, corrispondono ancora a modelli che nel migliore dei casi
sono stati elaborati più di un secolo fa, in base, comunque, a concezioni e ideologie che arrivano da
un passato lontano millenni.

Nonostante le frizioni che si potrebbero venire a creare nell’incontro di concezioni e credenze
tanto diverse, e il timore di avventurarsi su strade sconosciute, il passaggio non dovrebbe essere
affatto un problema in una società aperta e consapevole dei propri processi. Si potrebbero superare
le differenze di cultura e di credo in un dialogo costruttivo in cui, come sempre è accaduto, gli
elementi più progressivi si utilizzerebbero per la costruzione di una nuova cultura più ricca e
complessa, di nuovi modelli organizzativi ed economici, di nuovi rapporti sociali.

Purtroppo però, così non è. C’è chi ha paura del cambiamento, perché ha paura di perdere gli
apparenti privilegi che il vecchio mondo gli ha attribuito, senza rendersi conto che quel mondo
ormai non esiste più.
Allora l’incontro tra le culture si trasforma in uno scontro. L’adattamento dei sistemi economici alla
necessità delle popolazioni si trasforma in una crisi permanente gestita da lobby di potere sempre
più avide. La necessità individuale di riferimenti si trasforma in una corsa sfrenata verso il consumo
di tecnologia sempre più avanzata, come fossero bacchette magiche multimediali.

Le ideologie dominanti dell’ultima fase dell’antica civiltà oppongono una resistenza sempre più
violenta al futuro, credendo, e cercando di farci credere con la forza, che la loro concezione è
sicuramente la migliore per il futuro e che tutte le altre concezioni sono nemici da combattere
perché sarebbero un ritorno al passato. Ne abbiamo innumerevoli esempi.
E per non farci pensare, per non farci vedere, per non farci costruire, utilizzano ancora una volta la
strategia del terrore.

Ormai abbiamo paura di tutto. Paura del diverso – di quello che “loro” definiscono diverso. Paura
della recessione – che “loro” stessi hanno creato. Paura della criminalità – prodotto dello stesso
sistema che “loro” vogliono mantenere. Paura del crollo delle banche – le “loro” banche. Paura
dello spread, paura dei cinesi, paura del vicino.

Ci vogliono far credere che la “crisi” sia un assestamento del sistema generale, che siano
piccoli “effetti collaterali” da correggere, ma che in fondo questo sistema è il migliore, anzi l’unico,
e che bisogna solo avere pazienza.
Certo, un sistema obsoleto e inumano, simile a quello delle oligarchie imperiali del passato, in cui
la sofferenza delle grandi masse umane corrisponde all’opulenza dei pochi che vogliono controllare
tutto.

Non si rendono conto, però, che ormai non possono controllare più niente. Il loro stesso sistema è
incontrollabile, basato su regole assurde che violano ogni legge dell’evoluzione e della storia.
E più si rendono conto di non poter controllare niente, più si disporranno alla violenza.

Questo il problema più grave che ci troviamo oggi ad affrontare: la crescente violenza verso le
popolazioni di ogni latitudine, verso di noi, che si esprime attraverso gli armamenti e le guerre di
controllo, la manipolazione informativa, l’annichilimento economico delle famiglie, il razzismo.
Ma nonostante la violenza di ogni tipo che stanno portando avanti contro gli individui e le
popolazioni, quel sistema si dissolverà, quel mondo smetterà di esistere.

Il nostro compito, quindi, non è quello di opporci al crollo inevitabile di questo sistema. Non
servirebbe a molto mettersi a braccia aperte di fronte a una diga che sta crollando per fermare la
massa d’acqua che inevitabilmente arriverà.
Quello che possiamo fare veramente, e che avrebbe senso in questo contesto, è porre le basi per
la costruzione di quella nuova civiltà di cui parliamo, in cui il cooperativismo, la nonviolenza, la
democrazia non siano solo parole, ma pratiche quotidiane.
Perché se è vero che si dissolveranno le vecchie istituzioni, le banche, gli strumenti di controllo e
gli apparati militari, le persone continueranno ad esistere, a vivere e ad organizzarsi.

Ecco chi ha veramente bisogno delle nostre idee, delle nostre proposte e della nostra energia: la
gente, le persone concrete e comuni che ogni giorno soffrono, fisicamente e psicologicamente, per
questa situazione apparentemente irrisolvibile.
È necessario essere vicini alle persone in ogni luogo – in ogni fabbrica, in ogni quartiere, in ogni
università – per costruire insieme i modelli per il futuro di questo pianeta.
È necessario lanciare segnali forti e chiari che possano essere utili alla creazione della società e
dell’essere umano del futuro.
È necessario lasciare da parte ogni personalismo, smettere di credere a quello che ci dicono in TV,
smettere di pensare che la crisi sia quella che ci vogliono far credere.
La crisi che stiamo vivendo va molto oltre ogni loro possibile immaginazione.

Oggi ci troviamo di fronte alla necessità di un nuovo salto evolutivo della specie umana.
Tutte le grandi civiltà presenti oggi sul pianeta, nessuna esclusa, si trovano oggi di fronte a questa
necessità.
È necessario fare una scelta.
Seguire il vecchio mondo verso il caos e la distruzione, o iniziare, umilmente e senza timore, la
costruzione di quello che verrà.

Grazie