Dall’inizio delle manifestazioni per la democrazia, a febbraio 2011, ai corrispondenti esteri è stato vietato entrare nel territorio. Netizen e giornalisti, e in particolari i fotografi, sono sistematicamente molestati quando si trovano nei pressi delle manifestazioni.
Sono innumerevoli i casi di violenza, così come carcerazioni, procedure giudiziarie e condanne emesse contro i giornalisti professionisti.
Secondo la Bahrein Press Association, di base a Londra, si contano oltre 140 casi di arresti, torture e licenziamenti di giornalisti dal febbraio del 2011. La tortura durante la detenzione è pratica corrente. Vengono inoltre condotte campagne diffamatorie contro gli attivisti per i diritti umani. Due netizen e il proprietario di un mezzo d’informazione sono morti per aver difeso il loro diritto di informare.
Il filtraggio dei siti internet si è allargato in modo da bloccare tutti i contenuti in qualche modo legati alle manifestazioni popolari. Molti siti streaming, che permettono la diffusioni di immagini video in tempo reale, sono stati bloccati: il controllo delle immagini della contestazione è diventata una questione di sopravvivenza per il potere. Nessun segno della rivendicazione popolare e della brutale repressione deve filtrare. Niente deve mettere in allerta la comunità internazionale.
Parallelamente, il regime, con l’aiuto diretto di vari paesi del Golfo, e grazie anche all’incredibile silenzio dei paesi occidentali, cura la propria immagine e moltiplica l’impegno sia sul piano diplomatico che su quello della comunicazione per presentare il Bahrein come un esempio di stabilità politica e di progresso sociale.
[campagna](http://fr.rsf.org/IMG/jpg/montage-barhain_fr2000x1300.jpg)
[petizione](http://www.rsf.org/petitions/f1bahrein/fr.php)
**Impediamo alla censura di averla vinta.**
Traduzione di Giuseppina Vecchia