Chi hanno arrestato la settimana scorsa, pericolosi militanti dei Centri Sociali, cattivi e violenti?
Con una simultanea operazione volta ad ottenere il massimo impatto mediatico sono stati tradotti in carcere all’alba del 26 gennaio resistenti NO TAV, da sempre in lotta contro un’opera inutile e dannosa. E’ stata un’azione volutamente sproporzionata: si è adottata la massima misura preventiva del carcere per reati ipotizzati e non dimostrati di scarsa gravità, in assenza di reali esigenze cautelari. Citiamo solo due esempi: assurda la carcerazione di Guido Fissore, persona assolutamente incensurata, consigliere comunale, nonviolento, portatore di stampella! Assurda la carcerazione di Tobia Imperato, anarchico, scrittore, persona assolutamente pacifica, ora oltretutto trasferito per punizione al terribile Carcere di Cuneo. Assurde tutte queste carcerazioni. E’ pertanto un’azione di valenza squisitamente politica, ad orologeria, che tenta di gettare il discredito su un movimento di lotta e resistenza pacifica. L’adozione di inaccettabili misure si palesa poi come intimidazione a tutte le lotte, tentando di porre il bavaglio sulla protesta.
Possiamo dire che il movimento NO-TAV in Val di Susa è sostanzialemente nonviolento?
Tutti parlano di nonviolenza, e nessuna sa cosa significhi. Ghandi era nonviolento, ed ha compiuto azioni che hanno dato un fastidio estremo al potere, portandolo all’esasperazione, al carcere, alla violenza ome risposta alla nonviolenza. Nonviolento non significa innocuo, nonviolenza non significa fare inutile e folkloristico rumore di fondo. Significa adottare iniziative di lotta anche estreme, di fronte alla violenza e al sopruso di uno stato che militarizza una Valle, contravvenendo a tante di quegli articoli della Costituzione che nemmeno si riesce ad elencarli. Il movimento NOTAV è nonviolento, ma organizza e organizzerà manifestazioni, cortei, occupazioni, e non indietreggerà di fronte ai fili spinati, ai muri, ai lacrimogeni lanciati ad altezza d’uomo, alle sassaiole che – come è provato dai filmati disponibili in rete – sono state reciproche. Quando migliaia o decine di migliaia di persone manifestano per i loro diritti, e si trovano davanti le forze dell’ordine decise a difendere con la forza un noncantiere-fortino, militarizzato, è inevitabile che succedano anche episodi di violenza. Da ambi le parti, torno a ribadire con forza. Ma la soluzione è semplice: se ne vadano, cessino con questa occupazione militare e illegittima. Non ci sarà più nulla di cui preoccuparsi, se non sanare tutti i danni che la costruzione del fortino ha già causato. Ma a quello, naturalmente, ci penserà il popolo della Valsusa. Gratis. E concludo citando un amico: nonviolento mica vuol dire piciu (“pirla” in piemontese).
Cosa sta succedendo concretamente su al cantiere?
Il cantiere non esiste. Non-cantiere è la giusta definizione. Fortino militarizzato, è la descrizione corretta. Hanno sgombrato a forza, il 27 giugno, il presidio della Maddalena, soltanto per arraffare, sostanzialmente rubandoli alla collettività, quei quattro soldi dei finanziamenti europei, che non arriveranno ulteriormente, dato che nulla si sta facendo. Quei quattro denari li stanno spendendo tutti in ordine pubblico, per costruire e mantenere il fortino e chi lo sorveglia, e in appalti a ditte in fallimento. In questo noncantiere, pare, dovrebbero scavare un tunnel geognostico di prova che nulla avrà a che vedere con il supposto tunnel di oltre 50 chilometri, che passerà da u’altra parte. Ripeto: ad oggi, nulla è stato fatto. Un vergognoso spreco di risorse pubbliche, una finzione penosa, un vulnus per la credibilità anche tecnica dell’Italia.
Tu sei uno scienziato: quali elementi scientifici ha in mano il movimento per dire che il traforo è pericoloso e quali elementi
presentano i fautori della TAV per smentire la pericolosità?
Bisogna partire da una domanda che tutti eludono: nel valutare l’impatto ambientale della nuova opera, occorre sapere se essa non modifichi drasticamente la destinazione del territorio, trasformandolo da quello che è attualmente in un corridoio di servizio industriale. La zona in discussione non è una valle alpina periferica, ove si trovi qualche rara forma di vita, di cui preoccuparsi per conservare il patrimonio delle specie; è parte integrante dell’area metropolitana torinese, da cui deriva la propria vitalità economica. Si tratta, in altre parole, di una zona mista, in cui l’aspetto residenziale gioca un ruolo determinante, e che si regge su un delicato equilibrio di fattori potenzialmente conflittuali.
Per questo motivo la Comunità Montana e i singoli comuni hanno da tempo elaborato una politica di valorizzazione del territorio che punta sul suo carattere di cerniera tra città e campagna; in altre parole, sui seguenti elementi: la presenza di verde, la vicinanza di parchi di interesse naturalistico, la felice esposizione, la quiete notturna, la disponibilità di asili e scuole inferiori per un popolo di pendolari relativamente benestanti, la potenzialità culturale e ambientale di attività turistica, per cui si sta attrezzando il territorio con una serie di strutture ricettive, quali punti di accoglienza e aree attrezzate, con campagne di promozione di prodotti tipici, con l’organizzazione di feste e fiere paesane etc.
Venendo ora al rapporto che intercorre tra l’esistenza di vie di comunicazione e la realtà appena descritta, esso è di natura ambivalente. Per un verso, l’esistenza delle strade statali 24 e 25 e di una linea ferroviaria abbastanza ben servita ha favorito il carattere metropolitano della zona, come è ovvio; basta osservare l’evoluzione degli insediamenti abitativi nell’ultimo secolo, per rendersi conto della connessione tra i due fattori. Il progressivo aumento di traffico, con il conseguente inquinamento chimico e acustico, tende tuttavia ad annullare la vivibilità della zona, e quindi l’insieme dei suoi motivi di decorosa sopravvivenza.
Nella bassa valle esiste anche un grave problema di inquinamento chimico dei terreni. Negli anni ’90 del secolo appena trascorso, è stato dato il permesso a una acciaieria di seconda fusione posta al confine tra i comuni di S. Didero e Bruzolo, più o meno a metà della bassa valle, di espandere la sua produzione fino a raggiungere un volume annuo circa dieci volte più alto di quello dei decenni precedenti. La condizione della valle è già critica e richiederebbe interventi di risanamento, prima che il sommarsi di elementi negativi provochi un tracollo residenziale e agricolo.
Non è credibile, per quante banalità vengano dette, che un’opera delle dimensioni della nuova linea ferroviaria risulti compatibile con un programma di risanamento, o anche solo di mantenimento dello stato attuale della valle.
I comuni della valle di Susa si oppongono alla realizzazione della Torino-Lyon perché ritengono che la nuova infrastruttura avrà sul loro territorio un effetto devastante, sia in fase di costruzione sia in fase di esercizio, complementare a quello delle infrastrutture che già esistono. Per essere chiari, pensano che essa priverà di valore le zone che si sono fino ad ora salvate e ridurrà a nulla le politiche di sviluppo del territorio perseguite in questi anni.
L’impatto sul territorio della valle di Susa dei cantieri, dei depositi, del movimento terra nella fase di costruzione, sarà il più alto fra quelli di cui siamo a conoscenza. In valle di Susa, come conseguenza di questo insieme di opere di scavo, si troveranno sul territorio della bassa valle – su una striscia di terreno larga un paio di km e lunga circa 40, tralasciando la gronda attorno a Torino, che ha caratteristiche diverse – più di una decina di cantieri e una quindicina di depositi di materiale di scavo, dispersi un po’ ovunque. I siti saranno tra loro connessi in vario modo, per camion principalmente: l’effetto di questo composito movimento risulterà equivalente, più o meno, a un raddoppio dei passaggi dei camion sull’autostrada, per una decina di anni, o probabilmente per un tempo più lungo. Niente male, quando si rifletta che una delle motivazioni più sbandierate dai fautori della nuova infrastruttura è quella di salvare gli abitanti della valle, che lo vogliano o meno, dagli effetti nocivi del particolato emesso dai TIR.
Vi è inoltre il problema che il materiale estratto può contenere sostanze pericolose, in particolare amianto e uranio, la cui presenza è certa nelle rocce ove verrà scavato il tratto di galleria. Su questo argomento ci limitiamo a osservare che le affermazioni sulla perfetta gestibilità di queste sostanze pericolose sono a un tempo ovvietà – si può dire altrettanto di qualsiasi materiale, fosse anche plutonio – e mistificazione.
Perché qui non si tratta di bonificare un sito, dove la presenza della sostanza nociva è certa e l’obbiettivo da realizzare è la sua rimozione in condizioni di sicurezza. Nel nostro caso l’obbiettivo è quello di divorare centinaia di metri cubi di roccia ogni giorno, all’interno della quale può o no trovarsi fibra di amianto e minerale uranifero; occorrerebbe valutare quali sono le probabilità di disperderne una parte nell’ambiente, e con quali conseguenze. Si tratta di un tema che andrebbe affrontato in termini di analisi del rischio, dopo aver fissato il numero di morti nei prossimi trent’anni che si considera accettabile, e in base a questo numero occorrerebbe individuare le modalità di lavoro e un protocollo di controlli, tale da rendere improbabile che il numero venga superato. Non è stato fatto niente di simile.
Si avrà una tale commistione di abitati, cantieri, discariche, che gli abitanti avranno l’impressione di vivere in un cantiere unico, per di più frequentemente spazzato da venti violentissimi.
Che il tutto possa procedere con regolarità ci sembra da escludere, tanto più che la nube di polvere che avvolgerà spesso la valle sarà legittimamente sospettata di contenere sostanze fortemente nocive. Vi saranno proteste, iniziative legali, blocchi di cantiere e scontri. Se nonostante questo, l’opera andrà avanti per la complicità delle forze politiche, per l’asservimento degli enti di controllo, per l’aiuto delle truppe antisommossa, accadrà che il settore benestante della popolazione tenderà a spostarsi da altre parti, innescando un processo di impoverimento progressivo della zona, dai lineamenti ben noti. La valle di Susa perderà sia il carattere residenziale sia quello turistico.
Il Governo Monti, che non brilla per ecologismo, pare abbia messo in stand-by il Ponte di Messina. Perché invece la TAV resiste nonostante tutto? Secondo te quali sono gli interessi in gioco?
La TAV è un progetto bipartisan, portato avanti in nome delle commesse e delle tangenti unanimemente da “centro-destra” e “centro-sinistra” (uso volontariamente le virgolette). Noi pensiamo che prima o poi anche il processo di costruzione della linea TAV finirà coll’impantanarsi nell’inevitabile situazione di attrito. L’esito più probabile è che si costruiscano dei pezzi e poi si lasci tutto lì: le conseguenze di questo progetto devastante, portato avanti dai suoi promotori nel più totale disprezzo dei fatti tecnici e dei diritti altrui, sarà duplice: l’aver distrutto l’equilibrio di un territorio ove vivono decine di migliaia di persone, e l’aver aperto un pozzo senza fondo per i conti pubblici. E’ anche vero che i promotori e i loro soci saranno divenuti più ricchi. Un Governo dei banchieri può non essere insensibile a queste lusinghe.