Oggi però lo spirito popolare e partecipativo che contraddistingueva le prime emittenti è contaminato dalla scesa in campo di gruppi politici, attori economici e Ong internazional. Il giornalista Raghu Mainali, fondatore di Radio Sagarmatha, prima radio comunitaria del paese, illustra le sfide che il settore oggi si trova ad affrontare.
**Il Nepal è considerato la patria asiatica delle radio comunitarie. A cosa si deve questo appellativo?**
In Nepal nacque la prima radio comunitaria dell’Asia meridionale: Radio Sagarmatha, avviata dal Forum dei Giornalisti Ambientalisti NFEJ. Era il 1997 e il paese era nel mezzo di una pesante crisi economica e una sanguinosa guerra civile, in cui i ribelli maoisti combattevano una monarchia di oltre duecento anni, abolita solo nel 2007 con l’instaurazione della Repubblica. Nonostante una forte instabilità politica, un clima di violenza e un regime autocratico, in dieci anni più di 200 emittenti comunitarie iniziarono a trasmettere. Giocarono da subito un ruolo chiave per i movimenti sociali e linguistici, nella mitigazione del conflitto e nel processo di pace, tanto da diventare una fonte di ispirazione per i vicini India e Bangladesh.
Oggi il segnale delle emittenti comunitarie raggiunge l’85% della popolazione nepalese, che conta circa 27 milioni di persone. Tre sono i fattori che hanno incoraggiato una così importante espansione. Primo: i media statali, fortemente burocratizzati, e quelli privati, durante la guerra non erano in grado di fornire informazioni alla popolazione e non incoraggiavano un reale dibattito pubblico. Secondo: in un momento di profondi cambiamenti politici, prosperano i movimenti sociali e la gente diventa più consapevole dell’ambiente in cui vive. Terzo: nel paese ci sono ben quaranta gruppi culturali e si parlano cento lingue. Una diversità che non può essere adeguatamente rappresentata da un sistema mediatico centralizzato, ma che invece può trovare risonanza nelle piccole radio che impiegano una tecnologia a basso costo e sono gestite dalle comunità stesse.
**Raghu, tu hai preso parte al movimento delle radio comunitarie fin dai suoi albori. Qual era lo spirito originario delle vostre iniziative?**
Le radio comunitarie in Nepal sono nate come un’alternativa al monopolio dei ricchi sui media e come una possibilità di fare informazione in modo diverso da quello tradizionale. La scelta delle notizie non inseguiva gli eventi, come avviene nel giornalismo classico, ma dava risalto ai processi sociali. Si incoraggiava la creatività e si dava voce alle prospettive della gente comune, abbattendo la barriera che solitamente divide chi diffonde e chi riceve l’informazione. Si discuteva di ingiustizie e discriminazioni. In questo modo, la popolazione, ascoltando e partecipando attivamente alla produzione dei programmi, gradualmente ha acquisito una maggiore consapevolezza dei propri diritti.
**Che cosa ha modificato l’impronta iniziale?**
Il successo che queste piccole radio stavano riscuotendo nelle masse fu presto riconosciuto da politici e uomini d’affari. In Nepal i quotidiani sono distribuiti con puntualità solo in 50 dei 75 distretti, metà della popolazione è analfabeta, solo il 30 percento ha accesso all’elettricità e la televisione è un lusso per pochi. In una situazione di questo tipo, le radio comunitarie costituiscono un mezzo di comunicazione efficace che fa gola a chi è interessato a dare ampia diffusione alle proprie idee.
Inoltre, l’approccio partecipativo alla produzione delle notizie, proposto dalle prime iniziative radiofoniche, si è perso con l’entrata in scena delle Ong internazionali. Il loro intervento a sostegno del settore ha portato alla formazione di un network di radio in cui è riproposto il tradizionale modello di informazione centro-periferia. Oggi, a causa del cosiddetto fenomeno della “NGOisation”, sta prendendo piede una tipologia di radio con obiettivi e portata limitati, in cui la comunità, ridotta a una specie di delegato, perde il pieno controllo sulla gestione di attività, che invece risultano influenzate dai donatori e appesantite dalla burocrazia.
A causa di queste interferenze, molte radio si sono allontanate dal ruolo originario di luoghi in cui la gente comune ha la possibilità di dare forma a un dialogo vivace e indipendente.
**Nella tua analisi individui tre principali attori che minano l’identità del movimento delle radio comunitarie: gruppi politici, uomini d’affari e Ong. Quale categoria rappresenta la minaccia più pericolosa?**
Gruppi politici, uomini d’affari e Ong compongono un triangolo di ferro che gestisce gli affari del paese. La classe media è trasversale ai tre gruppi, il cui solo obiettivo è il mantenimento del potere. Questo triangolo è guidato dalla leadership politica, che rappresenta perciò la minaccia più seria per il movimento.
**In un’intervista con l’accademico indiano Pradip Thomas, pubblicata nel suo ultimo libro intitolato “Negotiating Communication Rights” (Sage, 2011), affermi che oggi solo il 40% delle stazioni comunitarie operative nel paese conserva uno spirito “genuino”. Quali sono i requisiti fondamentali affinché una radio possa essere definita comunitaria?**
La radio comunitaria, secondo me, va intesa come un patrimonio comune che appartiene, è apprezzato e legittimato dalla comunità, i cui membri interagiscono in modo libero nel perseguimento di obiettivi comuni.
Vanno stabilite regole e valori e, in particolare, va chiarito ciò che la comunità deve fare per la radio e viceversa. Si deve poter contare su un network di collaboratori aperto, dove tutti sono liberi di prendere parte alle attività ma dove nessuno può rivendicare la proprietà sulla radio. In altre parole, uno sforzo combinato di fiducia, regole di condotta, rete e reciprocità, crea una comunità forte in grado di amministrare in modo condiviso la “risorsa radio”.
**Come fare dunque per incoraggiare la diffusione di questa specifica tipologia, basata sulla partecipazione popolare?**
Bisogna innanzitutto condurre una mappatura delle radio che trasmettono nel paese e applicare criteri obiettivi per riconoscere quelle che sono autentiche realtà comunitarie. Con questo proposito, il Community Radio Support Centre di NEFEJ, centro che ha accompagnato l’istituzione di un centinaio di emittenti, ha sviluppato e testato, grazie anche al supporto dell’UNESCO, un sistema di valutazione a sessanta indicatori che permette di analizzare oggettivamente la performance delle radio. Inoltre, è necessario evitare che le radio dipendano dalle regole del mercato; andrebbe anche formata un’adeguata base intellettuale.
Le sfide che stanno interessando il settore devono essere affrontate in primo luogo dai soggetti promotori delle radio e dalle comunità. Su questo fronte, un contributo rilevante può arrivare da organizzazioni come UNESCO e AMARC, che da sempre sostengono lo sviluppo del settore, non solo in Nepal ma a livello globale.
Daniela Bandelli