Legge sulla stampa per imbavagliare i media
Reporter sans frontières esprime la sua viva inquietudine in seguito all’adozione in prima lettura dal parlamento, il 21 novembre 2011, di un progetto di legge sulla stampa, e questo malgrado la viva protesta dei giornalisti israeliani.
Il testo che deve passare ancora davanti alla commissione legislativa della Knesset, prima di essere votato in seconda e terza lettura, prevede l’aumento vertiginoso dell’importo dei danni previsti che dovranno versare gli autori di reati qualificato dal giudice come “diffamatori.”
“La severità delle sanzioni pecuniarie previste in questo progetto di legge mira chiaramente non solo ad asfissiare economicamente i media in Israele, ma anche ad intimidire i giornalisti che osassero denunciare la corruzione e criticare il potere, ha dichiarato Reporter sans frontières.
Chiediamo l’abbandono di un tale progetto che costituisce un vero pericolo per la libertà della stampa in Israele e rischia di rendere fragile la democrazia.”
Il progetto di legge, come votato dalla Knesset, prevede fino a 300 000 shekels (60 000 euro) di danni in caso di “diffamazione”, somma sei volte più elevata di quella prevista attualmente dalla legge in vigore. Peraltro i querelanti non hanno nessuno obbligo di fornire la prova del danno subito e di precisarne l’ampiezza.
Il 20 novembre, parecchie centinaia di giornalisti che rappresentano l’insieme del settore dei media si sono riuniti a Tel Aviv per protestare contro questo progetto di legge giudicato liberticida, denunciandone le minacce alla libertà di espressione. Hanno denunciato anche le pressioni esercitate sul canale privato Channel 10.
Chiusura illegale di una radio
D’altra parte il ministero israeliano delle Telecomunicazioni ha ordinato, il 20 novembre, la chiurura della stazione radio Kol Hashalom (La Voce della pace), che ha i suoi uffici a Gerusalemme Est e trasmette da Ramalla con l’acura di non avere le licenze e di “incitare all’ostilità contro Israele”..
Il condirettore della radio, Mossi Raz, ha respinto le accuse contro Kol Hashalom di essere una radio pirata ed ha sottolineato il carattere illegale della sua chiusura. Spiega che essendo la sede a Gerusalemme Est, zona sotto il controlo dell’Autorità Palestinese, la radio non è sotto la giurisdizione israeliana.
La radio diffondeva da sette anni dei programmi in ebraico ed in arabo che incoraggiavano le iniziative in favore della pace e del dialogo tra israeliani e palestinesi.
Reporters sans frontières esige che le autorità israeliane riaprano Kol HaShalom, la cui chiusura ha viola la libertà di stampa mentre mortifica le competenze dell’Autorità Palestinese.
Carcerazione di Anat Kam, prima dello svolgersi del processo d’appello
La giornalista on line Anat Kam condannato, il 30 ottobre 2011, a quattro anni e mezzo di prigione e diciotto mesi di arresti domiciliari, ha fatto appello.
Il 17 novembre, il suo avvocato, Ilan Bombach, ha chiesto alla corte dio attendere il verdetto finale prima di incarcerare la ragazza, argomentando che la sua cliente non rappresentava un “pericolo pubblico”. Il giudice si è rifiutato di sospendere la sua decisione. Anat Kam dovra quindi cominciare a scontare la pena dal 23 novembre.
Reporters sans frontières deplora la severità della giustizia israeliana verso Anat Kam, il cui processo costituisce un pericoloso precedente rispetto alla protezione delle fonti e alla libertà di stampa quando si tratta di soggetti relativi all’esercito.
In una lettera indirizzata il 3 novembre 2011 al Procuratore Generale dello Stato di Israele Reporters sans frontières aveva chiesto l’abbandono del procedimento contro Uri Blau, giornalista di Haaretz, che rischia fino a sette anni di carcere per “possesso di informazioni confidenziali, senza autorizzazione e senza intenzione di nuocere alla sicurezza delo Stato” in base all’articolo 113-c del Codice Peanale “I giornalisti d’inchiesta sono i garanti della trasparenza, principio essenziale del buon funzionamento democratico. Svolgono un lavoro utile. La sua condanna costituirebbe un grave attentato alla libertà di circolazione dell’informazione”, ha concluso l’organizzazione.