“La sicurezza è peggiorata drammaticamente” ha detto l’esperto iracheno, precisando che la capitale Sana’a è divisa tra forze rivali e che il governo non è più in grado di garantire il controllo in diverse province. Benomar ha riferito di una crisi politica irrisolta e della necessità di un processo partecipativo che includa tutte le componenti della società yemenita. Ha ricordato l’esistenza di un piano di uscita di crisi suggerito dal Consiglio di cooperazione del Golfo che prevede le dimissioni di Saleh e un governo transitorio d’unità fino a elezioni anticipate. I dimostranti chiedono inoltre che il presidente Ali Abdullah Saleh e il suo entourage siano processati per le vittime della repressione delle manifestazioni dallo scorso 27 gennaio. Nel fine settimana Saleh ha annunciato che a breve si dimetterà.
La Gran Bretagna e gli altri paesi europei del Consiglio di sicurezza hanno redatto un progetto di risoluzione che potrebbe essere sottoposto a una votazione nei prossimi giorni. Washington, finora clemente con il presidente yemenita ritenuto un alleato nella “lotta al terrorismo” nella strategica regione, ha dichiarato attraverso la Segretario di Stato Hillary Rodham Clinton che “lo Yemen ha bisogno di un nuovo inizio e di un nuovo leader” e che “i dirigenti statunitensi, dei paesi arabi ed europei stanno cercando di convincere Saleh a lasciare il potere”.
Diversi ufficiali militari e i loro soldati hanno abbandonato il sostegno a Saleh e si sono uniti al fronte della rivoluzione. Denunciano ora di non aver ricevuto lo stipendio e accusano il governo. I militari dissidenti fanno parte di un eterogeneo fronte dell’opposizione: alle pacifiche manifestazioni a favore di un’apertura democratica si sommano diatribe per il potere e regolamenti di conti tra tribù.
Nel sud la popolazione è inoltre confrontata alle violenze di un gruppo armato: il governo sostiene che si tratta di terroristi legati ad Al-Qaida mentre l’opposizione pensa che si tratti di un’insicurezza alimentata dallo stesso governo.