L’attività estrattiva di Shinkolobwe, iniziata durante la
colonizzazione belga, è poi passata sotto il controllo della società nazionale GECAMINES durante
la dittatura del presidente Mobutu. Con l’avvento alla presidenza di Laurent Désiré Kabila, alla
GECAMINES verrà chiesto di lasciare il posto, e avrà inizio lo sfruttamento artigianale della
miniera da parte degli ex dipendenti della società. Il 9 aprile 2003, tre settimane dopo l’inizio della
guerra in Iraq, l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), fa firmare un accordo che
obbliga il Congo a presentare rendiconti delle sue esportazioni di uranio. Le voci sullo sfruttamneto
artigianale a Shinkolobwe hanno come conseguenza una missione di ispezione dell’AIEA la
cui conclusione sarà: “la possibilità che grandi quantità di uranio siano estratte ed esportate è
inquietante”. Sotto questa pressione internazionale, il 27 gennaio 2004 Joseph Kabila firma il
decreto che classifica Shinkolobwe come zona vietata allo sfruttamento minerario. Il sito viene
quindi posto sotto la sorveglianza dell’esercito. Ma l’attività estrattiva, diventata ora clandestina,
continua. I militari, mal, o perfino mai, pagati, riscuotono un “diritto di passaggio”, quando non
organizzano essi stessi squadre di scavatori per conto loro. Quando, nel luglio 204, un disastroso
crollo nelle gallerie provoca una trentina di morti, questo sfruttamento non potrà più essere
ignorato. Il governatore del Katanga ordina allora l’applicazione effettiva del decreto presidenziale
e l’evacuazione dei 15.000 abitanti di Shinkolobwe entro gli otto giorni. Il villaggio verrà distrutto e
bruciato dall’esercito all’inizio dell’agosto 2004. Il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente
e l’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari dell’ONU (PNUA/OCHA) verranno
incaricati di una missione ispettiva nell’ottobre dello stesso anno, il cui verdetto sarà che esistono
rischi importanti di crolli oltre a potenziale esposizione cronica a radiazioni ionizzanti. Tutti questi
eventi porteranno a un notevole rallentamento di tutte le attività minerarie della zona, riducendole
alla clandestinità notturna. Ma questo non fa che spostare il problema verso altri siti della regione,
come quelli di Sandra, Miringi-Milele, Luswiski, e così via.

La vita quotidiana degli scavatori consiste nello scendere scalzi e a mani nude in pozzi mal
puntellati. Il materiale grezzo viene poi venduto ai commercianti all’ingrosso (GOPINATH,
BAZANO, RUBA MINING, RULCO MINING, ecc.), i quali sono ben coscienti della sua
pericolosità. Infatti, i dirigenti di queste società si guardano bene dall’avvicinarsi ai propri depositi.
Il materiale estrattivo grezzo, caricato su camion, viene esportato verso lo Zambia e l’Angola. Il
trasporto privato su gomma, in presenza di un servizio doganale mal pagato e peggio equipaggiato,
permette tutte le derive, ben più agevolmente rispetto al trasporto ferroviario. Così, dai posti di
frontiera del Katanga passa un corteo senza fine di camion che trasportano questi minerali grezzi
senza alcuna misura di sicurezza per quanto riguarda le popolazioni. Una parte dell’uranio del
Katanga sparisce così senza lasciare traccia, per destinazioni e utilizzi ignoti.

Sul sito minerario di Luswiski, l’esposizione alla radioattività per un minatore che lavori otto
ore al giorno, 250 giorni l’anno, varia a seconda del luogo da 2 a 170 mSv/anno (milli Sievert
per anno). Ma poiché i minatori nella maggior parte dei casi vivono nei pressi delle miniere, la
loro esposizione va ben oltre le sole ore di lavoro, specie se si tiene conto dei fenomeni connessi, come la contaminazione delle acque, i venti, l’erosione, la propagazione nelle coltivazioni,
nella vegetazione e nel bestiame, ecc. Per fare una comparazione, l’esposizione massima nelle
popolazioni, secondo le norme internazionali, non deve superare il limite di 1 mSv/anno. Questa
radioattività comporta problemi di salute e mutazioni genetiche. Nella regione sono sempre
più le nascite di bambini malformati. Le credenze popolari, radicate in un substrato di scarsa
scolarizzazione e strutture sanitarie insufficienti, attribuiscono questi danni alla stregoneria e alla
maledizione.

La “maledizione” di Shinkolobwe non è questione di stregoneria. É opera di decisioni politiche e
di interessi economici. É frutto di un sistema di ampiezza internazionale, basato da una parte su
una “anarchia organizzata” delle amministrazioni e dei servizi pubblici, come la Société Nationale
des Chemins de Fer (Ferrovie), esercito, dogana, istruzione, sanità, e dall’altra sulla miseria di un
popolo che preferisce morire di un cancro lontano e invisibile piuttosto che di fame a breve termine.
Questo sistema genera corruzione e distruzione. Le bombe rilasciate il sei e l’otto agosto 1945 non
sono assolutamente una storia vecchia. Le loro ombre, ora più che mai, planano su di noi.

Traduzione dal francese di Giuseppina Vecchia per Pressenza.