Il rapporto sottolinea che la perdita dei territori, fondamentale per la sopravvivenza, mette in serio pericolo d’estinzione i popoli indigeni. Queste comunità sono di fatto rimaste totalmente escluse dai processi di adozione delle decisioni e dalle normative degli Stati in cui vivono. Inoltre, sono state oggetto di processi di dominazione e discriminazione e le loro culture sono state considerate inferiori, primitive, qualcosa da modificare o perfino da eliminare.
Allo stesso tempo, il rapporto indica che “nel mondo sono molto pochi i governi che riconoscono i diritti dei popoli indigeni alla terra, e neanche in questi paesi si sono completati i processi di conferimento di licenze e demarcazioni (…) Anche nei casi in cui le comunità indigene possiedono dei legittimi titoli di proprietà delle loro terre, queste vengono in realtà affittate dallo Stato come concessione mineraria ad esempio; ciò avviene senza consultare le comunità stesse o addirittura senza chiedere il loro previo consenso. La mancanza di sicurezza giuridica delle proprietà, continua a costituire un grave problema, praticamente in tutto il mondo.
Il rapporto denuncia anche il dislocamento forzato come conseguenza di progetti sconsiderati in territori indigeni: “le grandi dighe e le attività minerarie hanno causato in molti paesi il dislocamento forzato di individui e intere famiglie che poi non hanno ricevuto un indennizzo adeguato dalle autorità. Varie comunità si sono spostate (…) contro la propria volontà, mentre lo sviluppo turistico di alcuni paesi ha causato l’esodo di intere popolazioni indigene e il loro crescente impoverimento. Quando questi popoli hanno reagito tentando di far valere i loro diritti, in molti casi sono stati oggetto di maltrattamenti fisici, carcerazione, torture e anche morte.
Un altro tratto distintivo dell’identità indigena è la lingua originaria. Il documento dell’ONU indica che circa il 90% di queste lingue rischiano però di scomparire nei prossimi dieci anni. E denuncia che “la maggior parte dei governi sono perfettamente consapevoli di questo problema ma i fondi disponibili vengono destinati solamente a lasciare testimonianza della loro esistenza mentre molto poco viene investito in programmi di rivitalizzazione delle lingue. La lingua d’altro canto non rappresenta solo un mezzo di comunicazione ma, essendo strettamente vincolata alla terra o alla regione tradizionalmente occupata dai popoli indigeni, costituisce di fatto una componente essenziale dell’identità collettiva e individuale delle persone. Di conseguenza, dà un senso di appartenenza e comunità. Quando muore una lingua, anche questo senso di appartenenza si deteriora.
L’alimentazione tradizionale è un altro aspetto distintivo in cui la cultura indigena si identifica. “Questo riconoscimento ha dato vita a vari appelli nei confronti dei governi affinché si tuteli lo sviluppo di un’agricoltura sostenibile, insieme a programmi mirati a rispettare e a sostenere il benessere dei popoli indigeni” recita il rapporto. Tuttavia, le monoculture, le sementi trans-geniche, i programmi di riforestazione, gli agrocombustibili e la priorità alla agroesportazione contraddicono gli appelli dell’ONU.
A questo proposito, si sottolinea che “la promozione di nuove tecnologie, come i semi modificati, i fertilizzanti, i pesticidi chimici, oltre all’introduzione di piani di coltivazioni commerciali e di grandi piantagioni, hanno causato il degrado ambientale e distrutto ecosistemi auto-sostenibili, danneggiando così molte comunità indigene fino al punto di obbligarle a trasferirsi altrove”.
L’identità dei popoli indigeni è rappresentata anche dalla cultura tradizionale e dai sistemi di giustizia tramandati di generazione in generazione. Il rapporto dell’ONU indica che “da tempi immemorabili i popoli e le comunità locali sono stati depositari di conoscenze e risorse tradizionali ed hanno applicato il diritto consuetudinario consacrato dalla loro cosmologia spirituale. I colonizzatori e gli Stati post coloniali hanno impoverito o distrutto gran parte delle conoscenze tradizionali, incluso appunto il diritto consuetudinario, imponendo i propri sistemi giuridici, le proprie nozioni e il proprio concetto del mondo ai popoli indigeni. Oggi giorno tuttavia si apprezza sempre di più il valore e il potenziale della conoscenza tradizionale”.
Anche sistemi educativi sconosciuti ed alieni costituiscono una minaccia permanente per i popoli indigeni. L’ONU sottolinea infatti che “i sistemi di insegnamento non rispettano le diverse culture dei popoli. Sono pochissimi i maestri che parlano le loro lingue e le loro scuole non hanno materiali basici. Il materiale pedagogico che offra un’informazione esatta e imparziale sui popoli indigeni e sul loro stile di vita è tra l’altro molto scarso”.
E aggiunge che “quando gli studenti indigeni sono esposti alla sola ideologia nazionale a svantaggio della loro ideologia nativa, rischiano di perdere la propria identità, la connessione con parenti e avi, di restare infine intrappolati nella terra di nessuno, spogliati di un importante aspetto della loro identità senza essere però totalmente integrati dalla società nazionale dominante (…). L’istruzione che lo Stato offre loro promuove l’individualismo e la competitività invece di forme comunitarie di vita e cooperazione. Non vengono insegnate tecniche per sopravvivere né approcci adeguati al mondo del lavoro, così che in molti casi tornano alle loro comunità con insegnamenti irrilevanti o inappropriati per la loro vita”.
Tutti questi aspetti costituiscono una forma di violenza che mira allo sterminio culturale dei popoli indigeni. Ma essi sono esposti anche allo sterminio fisico diretto. “Nonostante tutti i progressi raggiunti per stabilire norme sui diritti umani a livello internazionale, i popoli indigeni continuano ad affrontare gravi violazioni quotidiane di tali diritti. (…) La violenza e la brutalità, la perpetuazione di politiche di assimilazione, l’emarginazione, lo spoglio delle terre, l’espulsione forzata, la negazione del diritto alla terra, l’effetto dello sviluppo su larga scala, gli abusi delle forze militari e i conflitti armati (…) sono una realtà per le comunità indigene di tutto il mondo. Gli atti di violenza si osservano ovunque, principalmente perpetrati nei confronti dei nativi che stanno difendendo il diritto ai loro territori” denuncia il rapporto dell’ONU.
Il razzismo è un’altra forma di violenza. Il rapporto dell’ONU sostiene anche che “Spesso i popoli indigeni sollevano questioni legate alla discriminazione sistematica e alle forme di razzismo da parte dello Stato e delle autorità. Questa discriminazione si può manifestare in modi diversi: interrogatori ingiustificati e frequenti da parte della polizia, comportamenti condiscendenti dei maestri nei confronti degli alunni o atteggiamenti maleducati di una receptionista in un ufficio pubblico. Nelle forme più estreme, questi atti discriminatori arrivano alla plateale violazione dei diritti umani, con assassini, violenze e intimidazioni. Inoltre, è difficile quantificare e verificare queste forme discriminatorie dato che non sono quasi mai denunciate dalle autorità o non vengono catalogate per origine etnica”.
Infine l’ONU denuncia la criminalizzazione dell’esercizio dei diritti, che denomina “caratterizzazione della protesta come delitto”: “Spesso succede che gli indigeni vengano incarcerati perché le loro attività di protesta sociale vengono viste come un crimine. Una delle mancanze più gravi nella protezione dei diritti umani degli ultimi anni è infatti la tendenza ad utilizzare la legge per punire o tipizzare come delitto le attività di protesta sociale o le richieste legittime avanzate dalle organizzazioni e dai movimenti indigeni per la difesa dei propri diritti”.
[Informe ONU](http://www.minkandina.org/files.php?file=informe_onu_ppii_387463861.pdf)
Tradotto da Eleonora Albini