Da trattamenti psichiatrici, già di per sé lesivi, gli psicofarmaci sono diventati metodi di controllo e punizione. La metà degli immigrati nei Centri di Identificazione e Espulsione è sotto psicofarmaci [1] e l’abuso di queste sostanze nelle carceri è, a dir poco, allarmante. Non si ha nemmeno il diritto di essere informati sugli effetti collaterali, i foglietti illustrativi restano in infermeria. Manuel Eliantono, in una lettera alla madre, scrive: “Mi riempiono di botte e di psicofarmaci”. Viene trovato morto per arresto cardiaco. Senz’altro vi furono percosse e violenze, ma soprattutto, come spiega la madre: “farmaci somministrati con la forza, farmaci tossici per il suo fegato malato in dosi esagerate”.
Stessa sorte per Giuseppe Uva, condotto in caserma e poi trovato il giorno seguente in condizioni orribili dalla sorella. “Non ci sembrava neanche nostro fratello” spiega in un’intervista, “aveva la testa con sotto quattro cuscini, era coperto da un lenzuolo, una flebo e russava in un modo che praticamente non era russare, perché lì c´era qualcosa che lui… ormai lo stava lavorando la morte”. Poche ore dopo, il tragico annuncio: Giuseppe è morto, il cuore non ha retto. Gli erano stati somministrati Tavor, En e Solfaren, che secondo il decreto dei dottori gli hanno bloccato il battito cardiaco.
Nei Centri di Identificazione e Espulsione forse capita persino di peggio. I detenuti si sono ormai abituati a repressioni, rivolte e suicidi. Gli psicofarmaci, come apprende l’avvocato Paolo Cognini da un assistito, vengono messi persino nel cibo. Senza alcuna cautela riguardo agli effetti collaterali, a volte mortali. Come nel caso di Hassam Nejl, trovato morto nella cella, a cui era stato somministrato un miscuglio di metadone e calmanti. Secondo il referto, una concausa del decesso per arresto cardiaco.
Gli psicofarmaci sono diventati un´arma per reprimere con la forza il comportamento delle persone, per offuscare le menti e rendere le persone zombi, facili da controllare. L’articolo 5 della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo recita: “Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti”. Se l’Italia non intende fare un passo indietro e finire nella lista dei paesi che non rispettano i diritti umani, dovrà compiere uno sforzo notevole ma necessario, per porre fine a simili pratiche disumane e degradanti.
[1] Il fatto quotidiano, 9 dicembre 2009